Sentieri nascosti di Antonio Lucio Giannone

di Giuseppe Bonifacino

  Come già il titolo dichiara, in questo suo recente volume Antonio Lucio Giannone prosegue – e pregevolmente incrementa – la sua meritoria operazione di innovativa e motivata integrazione del canone letterario novecentesco, scegliendo di  percorrerne – come gli è consueto – sentieri «poco esplorati, a volte impervi» (p. 9), per riproporre figure e opere della modernità letteraria (nei molti generi qui riattraversati: «la memorialistica, la poesia, in lingua e in dialetto,il romanzo, il reportage, lo stesso saggio critico»: ib.), a torto escluse dal canone storiografico e trascurate dalla ricerca accademica per la loro appartenenza a un côté del contesto meridionale, quello salentino, tradizionalmente – e si direbbe pregiudizialmente – emarginato o rimosso. Attirato, nel suo impegno critico, dal «piacere della scoperta» più che dallo sterile agio «della variazione sul tema» (ib.), Giannone ne rivendica preliminarmente la discriminante metodologica di fondo, costante marca distintiva, peraltro, di ogni suo lavoro: l’«attenzione rivolta al testo, che purtroppo sembra essere diventato ormai un elemento opzionale della critica letteraria mentre ne dovrebbe essere sempre, a nostro avviso, il centro, il cuore pulsante» (ib.).

  I “sentieri” interpretativi tracciati nel volume col sostegno di questo duplice viatico – innovazione storiografica e rigore ermeneutico –  sono raggruppati in tre sezioni, che rifocalizzano entro variegate angolazioni prospettiche, dal secondo Ottocento all’intero arco novecentesco, la nostra tradizione letteraria. La prima sezione consiste in un trittico – così la intitola l’autore – su Sigismondo Castromediano, memorialista risorgimentale di rilevato spessore, le cui Carceri e galere politiche non hanno goduto dell’opportuno risalto all’interno degli studi sul fortunato filone cui fanno capo. La ricognizione a più strati condottane da Giannone nel primo saggio vi mette in luce il peculiare intreccio dinamico fra testimonianza autobiografica, riflessione politica e dipintura socio-antropologica della Terra d’Otranto e in generale del Mezzogiorno italiano, allargandosi a evidenziarne intersezioni e contrasti con altri testi della memorialistica carceraria ottocentesca, dai classici modelli di Pellico e Settembrini, a quelli di altri memorialisti meridionali rivisitati nel secondo saggio del trittico. Si tratta di autori in varia misura interessanti ma fin qui trascurati o ignorati dagli studiosi, come Nicola Palermo, Giovannina Bertola, Cesare Braico e Nicola Nisco, le cui testimonianze, insieme alle Memorie di Castromediano (sintomatiche emergono le differenti declinazioni rievocative delle pur condivise esperienze di prigionia), costituiscono – segnala Giannone – un «compatto e fondamentale corpus relativo alle lotte risorgimentali del Quarantotto nel Regno delle due Sicilie»(p. 18) senz’altro meritevole di un’attenzione critica finalmente adeguata. A chiudere il trittico dedicato al memorialista salentino è l’analisi, fino ad oggi mancante, del “personaggio” Sigismondo Castromediano e delle sue posizioni ideologiche all’interno del romanzo storico Noi credevamo, che Anna Banti disegnò avvalendosi in profondità di quella meditazione carceraria così singolare per tensione etica e altezza di stile.  

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