di Antonio Errico
Nell’epilogo dell’ Artefice, Jorge Luis Borges racconta di un uomo che si propone il compito di disegnare il mondo.
“Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto”.
Un luogo è coincidenza di forma e di sostanza, voce, eco, bellezza e somiglianza, il corpo e l’ombra, memoria e smemoranza. E’ risonanza di un sentimento o di una percezione di finitudine e d’infinito che non si sviluppano in contrasto ma coesistono in una dimensione del visibile che si fa espressione anche dell’invisibile o dell’irrappresentabile.
Si vive in un luogo e si attraversa il suo presente; si incontrano volti che poi scompaiono; si ascoltano voci che poi si perdono. Il tempo a volte trasforma, a volte deforma, altre volte cancella; a volte lo fa gradualmente, a volte in un modo improvviso, come fa un vento che sparpaglia i cumuli di foglie risecchite accumulate a un angolo di marciapiede.