Guisnes ovvero alla ricerca del libro assoluto

La forma assoluta era, ad un tempo, minuscola e gigantesca, proteiforme; doveva avere la capacità di contenere tutto, di assorbire tutto, di trasformarsi in tutto: esseri e cose, realtà e fantasie: le più ardite, le più azzardate.

La forma assoluta era teoria e ossessione.

Non è un caso che molta sua scrittura si confronti con la forma della città. Perché la città, fondandosi su una struttura originaria, è forma che muta in continuazione, si stratifica, cresce, si spande, trasforma la sua fisionomia, e, soprattutto, mette in relazione la sua forma con l’esistenza di chi la abita.

In principio è una forma vuota, che preesiste alle parole.

Il pensiero contempla già la forma, a quella forma deve aderire il testo, regolandosi, modellandosi, adattandosi, fino ad associarsi, perfettamente.

Talvolta si può avere l’impressione che nella scrittura di Antonio le parole procedano per direzioni casuali, seguendo soltanto le sirene del ritmo, lasciandosi sedurre soltanto dalla sonagliera delle parole.  

In parte è così. Il testo doveva rispondere alla sua convinzione di uomo che è il caso che regge l’universo e i destini delle creature.

Allora il testo doveva rappresentare il caso. Ma la rappresentazione del caso attraverso la scrittura richiede una progettazione minuziosa, una ricerca accuratissima, un metodo così rigoroso da non lasciare nulla al caso.

La prima edizione dei “Trofei”, uscì nei giorni di Natale del 1988, nelle edizioni che ricorda Mario Desiati. Antonio  lo scrisse probabilmente tra l’inizio dell’anno e il mese di maggio, se non ricordo male. Aveva trentanove anni e la scrittura gli ribolliva nelle vene. Era il tempo in cui oltre a Joyce, adorava “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo e “Il sorriso dell’ignoto marinaio” di Vincenzo Consolo.   Mi diede il dattiloscritto nel mese di giugno. Alla fine di luglio se lo riprese. Non lo voleva più pubblicare. Disse che doveva essere un libro più grosso, che in quel libro mancava un grande bestiario. A settembre me lo ridiede dicendo che andava bene come stava, che aveva fatto delle prove ma che non c’era niente da mettere, niente da levare, che una parola di più o una di meno avrebbero squilibrato tutto il testo.

Guisnes è luogo di linguaggio eccitato, città invasa da una marea di linguaggio che può essere penetrata solo per mezzo di un linguaggio superiore agli altri per potenza di significato. Per Antonio Verri, il linguaggio superiore ad ogni altro linguaggio era quello della letteratura, che rivendica la propria autonomia fino ad arrivare alla separazione dall’autore.   

Voleva un libro nuovo, Antonio Verri, un libro che non esisteva in nessuna lingua, che fosse misura e precisione, essenzialità, sonorità, ritmo, il risultato di una mistura di lingue che gli consentisse di costruire il non libro, il testo che genera se stesso, che si riproduce all’infinito, che si sbriciola, si lacera, e poi si ricompone. Voleva fare un libro per il terzo millennio, Antonio Verri. Lo diceva ridendo, simulando la burla. Però ci credeva, segretamente. “I trofei della città di Guisnes”, è un capitolo di quel libro per il terzo millennio.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Giovedì, 20 luglio 2023]

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