Gino Congedo: la potenza espressiva della forma per comunicare il dramma esistenziale dell’uomo

I primi lavori in bassorilievo e a tutto tondo risalgono agli inizi degli anni Sessanta e, ovviamente, risentono della maniera classica e tardo romantica e sono ispirati a temi tradizionali: Ritratti di fanciulli (Figg. 1, 2), Maternità, Pietà. I Maestri a cui guarda con ammirazione sono Martinez, Gemito e Manzù e, in modo particolare, a Umberto Palamà, uno scultore molto aperto alle avanguardie, suo insegnante presso la Scuola d’Arte di Galatina, il quale, essendo anche un appassionato studioso e teorico della storia dell’arte, oltre a fargli apprendere i rudimenti del mestiere, lo avvia alla conoscenza dei nuovi movimenti artistici contemporanei. Sotto il suo influsso il giovane Congedo si cimenta con l’Informale; assembla brandelli di tela di sacco, imbevuti di gesso liquido, su intelaiature di filo di ferro e ottiene delle composizioni astratte tridimensionali, ricche di effetti chiaroscurali. Ma, dopo qualche anno, preferisce trovare una sua strada stilistica e torna a trattare la figura umana, sublimata in numerosi ritratti di amici e familiari (Figg. 3,4) e, negli anni successivi, anche in temi religiosi (Figg. 5,6,7).

Parallelamente, dopo essersi diplomato nel ’60 nella Sezione Scultura presso l’Istituto d’Arte di Lecce, si dedica all’attività didattica in qualità di docente di Plastica (modellazione): dal ’61 al ’74 presso l’Istituto d’Arte di Nardò e, dal ’74 al ’96, presso l’Istituto d’Arte di Galatina. Consegue a Napoli nel ’63 e nel ’64 le abilitazioni per l’insegnamento del Disegno nelle scuole d’istruzione secondaria.

Una metamorfosi radicale e decisiva nel suo linguaggio figurativo avviene nel ‘68, quando immagina l’Opera aperta (Fig. 9), composta da due volumi curvi che, staccandosi, rivelano il loro universo interno di forme organiche embrionali. Da questo archetipo prendono il via dal ‘69 al ’70 una serie di coraggiose e crude interpretazioni del corpo femminile, dilaniato da tagli e squarci, da cui fuoriescono le interiora. È una denuncia spietata, un grido di dolore contro la violenza sulle donne. Di sicuro, come era prevedibile, i visitatori delle sue mostre rimangono impressionati e turbati da un così forte impatto visivo. Sul piano stilistico la massa plastica dei corpi ricorda le forme dei volumi morbidi e tondeggianti di alcune sculture di Alberto Viani e di Aldo Calò, l’interpretazione del tema, invece, appartiene al più crudo Espressionismo.

Alcuni anni dopo, riflettendo più intensamente, si convince che la violenza da combattere non è soltanto quella di natura fisica e individua nel cosiddetto progresso tecnologico il ruolo di super-violenza, una seria minaccia alla dimensione umana. Da questa presa di coscienza scaturiscono negli anni ’74 -‘75 numerose sculture, in cui sono raffigurati volti e membra umani, compenetrati da minacciosi ingranaggi meccanici (Figg. 10, 11). Intorno agli anni ’83 -’86 questa tematica si evolve e approda, attraverso un processo di stilizzazione progressiva alle Sfere, originali soluzioni astratto-espressionistiche, costituite da gusci sferici spaccati e assemblati in vari modi da cui fuoriesce uno strano magma gommoso (Fig. 12).

Dagli anni Novanta in poi la tensione psicologica si stempera ed egli si dedica a interpretazioni più serene, producendo terrecotte patinate e sculture in pietra, in cui volti umani, uccelli ed elementi floreali sono sapientemente inseriti in una unità compositiva dolce, armonica ed esteticamente gradevole (Fig. 8). La produzione più recente, infine, è un omaggio sincero all’Informale, ravvisabile facilmente nella valorizzazione delle peculiarità tattili e visive, di lastre e blocchi in pietra leccese, prelevati allo stato grezzo dalle cave salentine, su cui interviene con segni, solchi e fori, lasciando, però, bene in evidenza le tracce ancora presenti della loro millenaria storia geologica: screpolature, infiltrazioni di ossidi, fossili (Figg. 13-16). Egli denomina tali opere Strutture;alcune di esse, per il loro verticalismo appaiono come dei menhir preistorici, reinterpretati in chiave moderna. In sintesi, la connotazione specifica di Congedo, nel panorama attuale dell’arte contemporanea, appare incentrata su un innato senso della forma, d’impronta espressionistica, sentita nella sua pienezza ed essenzialità, quasi classica, non generata da elaborazioni mentali o da approfondimenti culturali, bensì posseduta naturalmente e affinata attraverso l’esperienza diretta e concreta di laboratorio. È raro, infatti, trovare nelle sue opere ricercatezze estetiche o fronzoli ornamentali; non è possibile perché incompatibili con il suo carattere semplice, lineare e schietto.

Ha partecipato a numerose mostre e rassegne, tra cui: Biennale Internaz. di Arti Figurative (Gallipoli, ’73), Mostra personale nella Galleria Salento (Galatina, ’76), Verifica ’76 – rassegna degli artisti salentini (Lecce), Contemporanearte (Cutrofiano, 2007), 1^ Biennale d’arte contemporanea (Aradeo, 2008). La sua attività artistica è stata recensita su giornali e riviste da Antonio Abate, Michele Bovino, Toti Carpentieri, Lorenzo Diso, Antonio Febbraro, Michele Fuoco, Eugenio Giustizieri, Guido Leporati, Massimo Montinari, Vittorio Pagano, Umberto Palamà, Luigi Sergi e Antonio Stanca.

[“Il filo di Aracne”, ottobre 2012]

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