Gino Congedo: la potenza espressiva della forma per comunicare il dramma esistenziale dell’uomo

di Antonio Stanca

     “A vederlo intento, con le grosse mani, a scolpire massi, a manovrare enormi stampi di gesso o a piegare fogli di lamiera, ci si rende conto di trovarsi di fronte ad uno scultore purosangue: semplice, rude e taciturno”. Questo è ciò che scrivevo nel 1976 di lui, nell’introduzione alla presentazione della sua prima mostra personale, che fu ospitata su mio invito nella Galleria Salento di Galatina, in Piazza Alighieri, n.63, gestita dall’amico Corrado Marra, con il quale collaboravo in qualità di direttore artistico. Volevo con quelle poche parole sintetizzare efficacemente il senso più profondo di una sensazione spontanea e sincera. Sono trascorsi trentasei anni e Gino, ormai settantenne, continua il suo rapporto d’amore con la materia –creta, marmo, pietra, legno- sicuramente tormentato, ma, nello stesso tempo, liberatorio e appagante. Per far cogliere al lettore il significato e il valore della sua ricerca artistica, sviluppatasi nell’arco di un cinquantennio, ritengo indispensabile tracciarne le fasi e le caratteristiche più salienti sul piano espressivo, stilistico e tematico.

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