di Antonio Lucio Giannone
Vittorio Bodini, com’è noto, ha messo costantemente al centro della sua riflessione e immaginazione poetica una città, Lecce, inserendola di diritto nella “geografia” letteraria del Novecento italiano, accanto ad altre città descritte e interpretate da scrittori contemporanei: la Trieste di Saba, la Parma di Bertolucci, la Livorno di Caproni, la Firenze di Pratolini, la Catania di Brancati, tanto per fare soltanto alcuni esempi. Bodini infatti ha descritto Lecce in numerosi racconti, le ha dedicato varie liriche e soprattutto ne ha saputo offrire un’interpretazione memorabile attraverso le chiavi di lettura rappresentate dal barocco leccese e dallo stesso paesaggio naturale.
Il rapporto dello scrittore con il suo paese però non è stato sempre facile, idilliaco, anzi è stato caratterizzato proprio da sentimenti ambivalenti di odio-amore, di desideri di fuga alternati a periodici ritorni (“Qui non vorrei morite dove vivere / mi tocca, mio paese, / così sgradito da doverti amare” 1), Seguiamo allora i momenti principali di questo rapporto, che, per essere compresi fino in fondo, devono essere messi sempre in relazione con le varie fasi dell’ attività e della poetica bodiniana. In particolare, prenderò in esame alcuni dei più significativi racconti di Bodini e un suo romanzo, nei quali si può notare uno sviluppo nella rappresentazione dello spazio urbano, indicativi anche del diverso atteggiamento dello scrittore nei riguardi di Lecce.