“Il segreto della paura? Che appartiene a tutti“

In King l’orrore che arriva dall’esterno non fa che scatenare un orrore che scorre sotterraneo nel quotidiano o, ancor peggio, che si annida nell’interiorità dei personaggi. Nella prefazione alla raccolta di racconti “A volte ritornano” King scrive che la paura ha la forma di un cadavere sotto il lenzuolo e che ci terrorizza scostare quel lenzuolo perché sappiamo che il cadavere che vi troveremo nascosto è il nostro: “tutte le paure si assommano a una sola, grande paura (…). Abbiamo paura del cadavere sotto il lenzuolo. È il nostro cadavere”. Che significato ha, per lei, questa immagine?

In generale, mi sembra chiarisca quella che è una caratteristica generale dell’orrore secondo King. Nei suoi romanzi migliori noi non abbiamo paura dei personaggi, ma abbiamo paura “per” i personaggi, per ciò che può accadere loro: protagonisti dei romanzi di King sono persone semplici, ordinarie, costrette a confrontarsi con situazioni straordinarie che mettono alla prova ora la possibilità di restare se stessi e di proteggere il proprio mondo e i propri affetti, ora addirittura quella di sopravvivere. Questa loro ordinarietà, questa capacità di vivere a ridosso di emozioni e paure che appartengono a tutti, fanno scattare nel lettore un processo di identificazione totale.

Gli scrittori americani rincorrono da secoli il mito del “grande romanzo americano”: lei ritiene che possa averlo scritto King. Quali sono gli elementi che farebbero di “It” il “grande romanzo americano”?

“It” è un candidato d’onore al titolo di “grande romanzo americano” proprio perché è un horror, anzi, per usare la definizione che ne ha dato lo stesso King, l’”horror definitivo”. L’orrore, il mostruoso, il male vengono raccontati come elementi che, se fisicamente sono nascosti nelle fogne di Derry, la cittadina immaginaria dove è ambientato il romanzo, in realtà covano alle radici della storia dell’intera America. Una storia segnata dal razzismo, dalla violenza, dal sessismo, da un individualismo spinto fino all’estremo. IT e il suo portavoce, Pennywise, sono l’incarnazione fisica di un male collettivo, che può essere combattuto solo ricorrendo alle armi della solidarietà e della fratellanza, dell’innocenza e dell’immaginazione. Ecco perché, in questo capolavoro come anche in altri libri di King, il compito di sfidare e sconfiggere il male è affidato a un gruppo coeso di bambini “imperfetti”: bullizzati e “perdenti”, ma proprio per questo in grado di sottrarsi alla logica dell’egoismo, della sopraffazione, della soppressione di tutto ciò che è “diverso”.

Il suo “Americana” è una “mappa ragionata del romanzo americano” e King ne fa parte. Quali sono le letture che considera imprescindibili per chi vuole “scoprire l’America”?

Prima di tutto, tre romanzi dell’Ottocento: “La lettera scarlatta” di Hawthorne, “Moby-Dick”di Melville e “Huckleberry Finn”di Mark Twain. Tre libri senza i quali, fra l’altro, “It”non esisterebbe. Poi, i due romanzi che King – per sua stessa affermazione – avrebbe voluto scrivere: “Luce d’Agosto”di Faulkner e “Furore”di Steinbeck. E fra i contemporanei, “Pastorale americana”di Roth e “Beloved”di Toni Morrison.

I suoi studi proseguono un lavoro intrapreso da Cesare Pavese, Elio Vittorini, Fernanda Pivano, Agostino Lombardo. Perché è importante continuare a portare la letteratura americana in Italia?

Perché, anche adesso che il “secolo americano” può considerarsi concluso, gli Stati Uniti continuano a essere un laboratorio di forme narrative pressoché sterminato. Faccio un solo esempio: oggi in Italia il genere più venduto è il poliziesco, ma non mi viene in mente uno solo dei nostri pur bravi autori che per statura, coraggio, ambizione, possa reggere il paragone con maestri americani come il James Ellroy di “American Tabloid”o il Don Winslow de “Il potere del cane”.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 20 luglio 2023]

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