Di mestiere faccio il linguista 13. Chi è il padrone della lingua

di Rosario Coluccia


Gerhard Rohlfs al lavoro con un contadino del Sud.

Un precedente articolo di questa rubrica, dedicato alla lingua del covid, attira l’attenzione di un lettore (che non vuole essere nominato), in particolare in un punto. Io scrivevo: «Per indicare la persona affetta da Covid sono stati coniati gli aggettivi «covidico» e «covidotico». Il primo è formato aggiungendo alla base il suffisso “-ico” […]; il secondo è formato aggiungendo alla base il suffisso “-otico” […]. I due neologismi legati al covid, peraltro scarsamente usati, di fatto convivono».

Il lettore (che di linguistica ne sa molto) mi scrive, citando la «Grammatica Storica della Lingua Italiana e dei suoi dialetti» di Gerhard Rohlfs, opera meravigliosa uscita in traduzione italiana più di cinquant’anni fa, insuperata, perennemente sullo scrittoio di ogni studioso di storia della lingua italiana, un paio d’anni fa ristampata dall’Accademia della Crusca e dalla società editrice «il Mulino». Ecco le parole di Rohlfs: «Il latino -osus indica la presenza o l’abbondanza di una qualità, per esempio “arenosus”, “formosus”. In italiano è rimasta la stessa funzione, per esempio “acquoso”, “fumoso”, “boscoso”, “paludoso”, “pietroso”, “orgoglioso”, “pauroso”». Il mio interlocutore commenta: «Quindi si sarebbe potuto usare l’aggettivo “covidoso” per indicare la persona infettata, in cui è presente il covid. Del resto anni fa ebbe fortuna il neologismo inventato da un bambino che creò l’aggettivo “petaloso”, per descrivere un fiore che ha molti petali. Addirittura, per un momento, quell’aggettivo non rimase nel confine botanico, assunse il valore metaforico di ‘attrattivo’, ‘bello’, e molti lo usarono in quel senso». Poi per fortuna l’inflazionato petaloso uscì di moda (aggiungo io), l’iperpubblicizzato bambino-onomaturgo (inventore di parole) tornò a fare il bambino, la maestra che aveva dato la stura alla vicenda smise di parlare del neologismo. Si placarono infine quelli che scrivevano all’Accademia della Crusca dicendo che avevano inventato una parola e chiedevano se la loro invenzione linguistica era degna di entrare nei vocabolari.

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (sesta serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *