Verri, il poeta-bambino che fu “voyeur” della vita

Musica e canto ricordano che pronunciare una parola, per Verri, era importante quanto scriverla. Che significante e significato avevano lo stesso peso. Che il significato, l’effetto, il battito potevano derivare solo dalla forma, dal suono, dal respiro.  Che l’immagine acustica, o visiva, della parola è la sola a poter generare il sussulto interiore, che le parole hanno forma, colore, ritmo. E lo scrittore è quel singolare essere che sta al servizio delle parole ma, contemporaneamente, sono le parole a mettersi al suo servizio. “La vita o si vive o si scrive”, sosteneva Luigi Pirandello. Però, forse, ci si domanda se per lo scrittore non sia lo stesso. La vita si vive e si scrive, senza disgiunzione, per Antonio Verri. Le due cose si congiungono armonicamente e lo scrittore si fa “voyeur della vita”  – come sostiene Desiati nella prefazione alla nuova edizione dei “Trofei” -, figura che, nascosta, assorbe con gli occhi il mondo reale e lo trasforma in un movimento di parole. Il mondo si offre docile al “guardone” che vive per la scrittura. Guisnes, metafora del mondo, è forse un luogo esteriore, forse interiore. Poco importa. È il luogo della scrittura, della visione, dell’allucinazione, della scoperta e dello smarrimento. È un “luogo dove perdersi”, scrive sempre Desiati, in cui “l’atteggiamento voyeuristi­co della narrazione spesso si tramuta in un’invocazione”. Il voyeur verriano è anche invisibile protagonista di una flânerie  per le strade di una Guisnes che si fa e si disfa sotto il suo sguardo, che muta, muore e rinasce. Città “morta e putrida”, città “dal cuore gonfio”.  Guisnes “città di rane, “città in cerca di trasparenza”. Guisnes “ostinata, clemente, comprensiva”. Guisnes luogo in forma di racconto, struttura complessa di metanarrazione in cui l’oggetto della scrittura è la scrittura stessa, in cui il cantore spande la propria voce nelle sue strade  e “nelle sue argille, nel suo cielo disperato, e nei suoi palazzi, e nelle sue rocce colosse, e nel suo grande stupore, e nella sua grande utopia”. Diventa una cosa sola con il luogo che attraversa, profondamente ad esso legato, a ricordare – come scrive Paolo Greco – la “sintonia tra Verri e la sua terra”.

Il 9 maggio di trenta anni fa Verri lasciava la sua terra. Ma la sua terra non ha lasciato lui. Se possibile, vi si è radicato ancora di più diventando molto più di un ricordo, assumendo le fattezze di un sogno di cambiamento e di miglioramento, un ideale, un’ispirazione. Lo scrittore è un sognatore e Verri lo è stato. Verri il poeta, il bambino, il visionario, l’artista, l’uomo. Sognava ma non si scordava di vivere, di camminare per la sua città, di attraversare Caprarica, il suo Salento, di guardare i balconi, le piazze, le persone. Sognava ma, poi, faceva quello di cui scriveva Raymond Carver: “Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, creature di sangue caldo e nervi, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita”.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 16 luglio 2023]

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