La rabbia dei francesi “abbronzati”, come direbbe Berlusconi, è grande. Si sentono esclusi dal benessere del paese e, evidentemente, le politiche di integrazione non hanno avuto successo. Negli anni Cinquanta e Sessanta anche in Italia si costruirono quelle che i francesi chiamano banlieue: periferie anonime, per confinare gli immigrati. Da noi erano italiani che migravano al nord in cerca di una vita migliore, ansiosi di integrarsi nella vita delle loro nuove città. Le sorelle di mia nonna materna emigrarono a Chicago negli anni ’20. Una, Maria, restò nella casa dove si stabilì appena arrivata, in un quartiere italiano. Negli anni ’80 era rimasta l’unica bianca del quartiere, oramai abitato da neri. Gli italiani si erano dispersi nel tessuto urbano e non facevano più “gruppo” come un tempo.
Ma per i “non bianchi” è diverso. Si vede che sono diversi. Sono accettati e osannati se sono campioni in qualche sport (sono superiori ai bianchi in quasi tutti gli sport, forse con l’eccezione del nuoto), o se hanno corpi statuari alla Naomi Campbell. Sono meglio di noi anche nella musica popolare. Possono diventare presidenti, come Obama, ma è sempre percepibile un diverso atteggiamento verso di loro.
Per me i temi ambientali sono i più importanti, ma se non risolveremo i divari sociali non credo che si potrà far molto per l’ambiente. Mi immagino a parlare di sostenibilità ai ragazzi che scrivono Nahel sui muri, a spiegare come l’oceano permetta la vita anche sulla terraferma. Quando piove in Italia è l’acqua dell’Atlantico che ci bagna: evapora dall’oceano, diventa nuvole che si spostano da ovest verso est e che ci portano la vita, perché la vita non è possibile senza l’acqua dell’oceano.
Ma che gliene importa a loro dell’Atlantico e degli ecosistemi? Se fossi come loro, mi importerebbe? Certamente no: è quello che ci dicono i governanti dei paesi dai quali provengono i disperati che fuggono da noi. Voi vivete bene e giustamente vi preoccupate dell’integrità del pianeta, per le generazioni future. Le presenti vivono bene. Le nostre generazioni presenti vivono male, malissimo, anche quando arrivano da voi. I primi che devono fare sacrifici siete voi, non noi. Li faremo quando i nostri livelli di vita saranno paragonabili ai vostri. Anche perché il vostro benessere dipende da materie prime che vengono dai nostri paesi, dove si produce quello che consumate, spesso inquinando e sfruttando la manodopera.
La reazione dei visi pallidi, il più delle volte, non è empatica. Che vogliono questi selvaggi? Che si diano da fare (ignorando che la nostra agricoltura si basa su di loro, e non solo). Sono primitivi, tribali, corrotti, fanatici religiosi. Non li vogliamo. Abbiamo presto dimenticato che noi eravamo visti esattamente così: mafiosi, violenti, corrotti. Gli americani ci chiamavano degos. La maggior parte di noi si dava da fare, con lavori umili, con la voglia di dare un futuro migliore ai figli. E il sogno si è realizzato, siamo pienamente integrati in tutti i paesi del mondo. Ma i “non bianchi” no.
Non basta la conversione ecologica, abbiamo bisogno di una conversione antropologica. Ma poi… le analisi genetiche mostrano che i neri sono puri rappresentanti della specie Homo sapiens che si espanse in tutte le terre emerse. Quelli che se ne andarono dalla zona di origine, inclusi noi, hanno anche geni riferibili a Homo neanderthalensis. Pare che noi siamo “bastardi” mentre “loro” sono puri. Scherzo… siamo tutti la stessa specie e non ci sono barriere biologiche che impediscano eventi riproduttivi tra umani morfologicamente differenti. Ci sono barriere culturali, però.
La reazione dei sapiens bastardi e pallidi nei confronti dei neri e puri è un razzismo alla rovescia e rappresenta il maggior ostacolo a un futuro di prosperità comune. Senza giustizia sociale non ci sarà pace. Senza le conversioni ecologica e antropologica devasteremo il pianeta combattendoci, uguali a tutte le altre specie che, in effetti, non si preoccupano per biodiversità ed ecosistemi.
[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 18 luglio 2023]