“Bella” è Pasifae, regina di Creta e poi nel prosieguo del mito è sua figlia Arianna; “La Bestia” è in prima istanza il toro bianco di Poseidone (poi il Minotauro) che come per la bestia della Disney ha sembianze taurine; Il Cattivo, uno dei tanti, è in prima istanza Minosse, poi Teseo (Gaston nella fiaba Disney), che abbandona Arianna dopo aver ucciso il Mostro – il Minotauro (nella fiaba il lieto fine cambia le sorti di tutti i protagonisti); “Dedalo”, l’architetto delle macchine stupefacenti (nella fiaba è Maurice, padre di Belle, “inventore folle” del piccolo villaggio francese in cui la storia si svolge): anche il castello in cui “La Bestia” dimora è in un certo qual modo meandrico, una volta entrati è difficile uscirne.
Dunque, come nel più noto romanzo basato sulla fiaba di Belle et la bête di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont (comparsa la prima volta nella rivista Magasin des enfants, ou dialogues entre une sage gouvernante et plusieurs de ses élèves, del 1756), animato alla fine del XX secolo dalla Disney, anche nella lettura “nuova” di Caradonna, ci si interroga sul vero aspetto assunto dal mostro, che non è necessariamente colui che ha le sembianze mostruose – ossia l’aspetto fisico dunque estetico -, bensì coloro che vivono, si atteggiano e pensano come penserebbe un essere mostruoso.
In questa complessa cornice, in questo dedalo labirintico sulle vite e le debolezze umane, Roberto Caradonna riporta alla luce una figura dimenticata dalla letteratura e dalla memoria di tutti; l’autore indaga l’Io più profondo dei personaggi che popolano l’antico mito greco, interrogandosi sul controverso Asterio (il Minotauro); su Dedalo e Icaro imprigionati dal re Minosse nel noto labirinto, sul rapporto tra deità mitologica e umana tragedia. Si sofferma con un approccio inconsueto – con animazioni didascaliche – sui fatti che hanno generato il cosiddetto “mostro”, sulle vicende all’origine del mostruoso essere, il Minotauro:
il desiderio mostruoso di Pasifae, regina di Creta e moglie di Minosse, abusata anche dalla mitologia classica, poi indebitamente scomparsa dalla memoria collettiva (per l’occasione egregiamente interpretata da Raffaella Di Donfrancesco); il mostruoso ingegno di Dedalo, «complice dell’insano gesto che ho compiuto» (proclamerà proprio la protagonista Pasifae-Raffaella), autore del mostruoso marchingegno che ha permesso il mostruoso amplesso; o forse, ipotesi molto verosimile, il vizio mostruoso celato dai mostruosi pensieri e insinuazioni di Minosse, che nella radice del suo nome ha già scolpito il nome stesso del Minotauro. O «forse un vile gioco degli dei?», ancora una volta burattinai senza scrupoli di un’esistenza umana compromessa dalla loro sete di gloria e fame di vendetta.
Alla base di tutta la storia c’è l’avido re di Creta che non immola come promesso a Poseidone il Toro bianco dalle corna d’oro, ricevuto dallo stesso “dio del mare” quale sacrificio da dedicargli: una dura vendetta, perpetrata dal dio armato di tridente, che aggiunge un travagliato Minotauro – personaggio dal corpo d’uomo e testa di toro – al già ricco bestiario mitologico greco, popolato da sfingi, tritoni, gorgoni, arpie, satiri e fauni, centauri e divinità polimorfe di ogni genere.
«Chi è il mostro?» è prodotto da Maria Angela Madera in collaborazione con Associazione Galatina Letterata di Rosanna Verter e il “Centro Studi e Ricerche Palladio” di Merano. La drammatizzazione del mito della donna vilipesa e uccisa – abusata da tutti, dei, uomini e animali – rivive dunque a Galatina, nella sua seconda rappresentazione italiana: il dramma è già stato messo in scena nei Paesi Bassi, dove l’artista Roberto Caradonna vive e lavora, e in seconda istanza a Merano lo scorso martedì 9 maggio presso Palazzo Esplanade in Piazza Rena, negli spazi della Mediateca Multilingue della città sul Passirio.
Raffaella Di Donfrancesco, esperta di teatro, docente di Letteratura italiana, Laureata in Lettere Moderne presso l’Università del Salento, attrice e autrice di testi teatrali per le scuole, come nella tesi discussa nel 2005 con i Professori A. Lucio Giannone e Donato Valli – La donna per Dacia Maraini 1972-1990 -, intercetta la condizione di sofferenza della donna nella storia dell’umanità e la rende contemporanea; riesce a caricare sulle spalle di Pasifae il dramma e la sofferenza femminile di tutti i tempi. Trasforma, rendendola di una fragilità disarmante, la figura mitologica della regina di Creta in una donna dei nostri tempi; ricongiunge, come fosse un «filo d’Arianna» spezzato, le pene e la “colpa” di essere donna dal mito all’attualità dei nostri giorni.
L’attrice-docente ci conduce in un dedalo di sentimenti: per Raffaella-Pasifae il labirinto è un’allusione, una vera e propria figura retorica paradigmatica che nasconde in sé il concetto stesso di ricerca verso la via del riscatto. In effetti per Platone, così per il mito di Pasifae, il labirinto è unicursale, non lascia vie di fuga alternative, il problema è mentale – come il sembiante cerebrale che sembrerebbe averne ispirato la forma – e non si può risolvere, le possibilità sono solo due – come fosse algoritmico -, giungere alla meta o ritornare al punto di partenza: superare la vergogna o infliggersi la morte legandosi un cappio al collo, proprio come accaduto alle tante Pasifae della storia, cadute nel labirinto delle perversioni umane e che ancora attendono d’essere riscattate.
Il labirinto dei vizi umani è una forza alla quale è
difficile opporsi, è opera degli dei. È il mito Classico in cui spesso Zeus-polimorfo
assume sembianze bestiali pur di congiungersi carnalmente alla donna dei propri
desideri. Nel caso specifico è la volontà del vendicativo Poseidone nei
confronti di Minosse, reo di non aver sacrificato in suo onore il toro dalle
corna d’oro ricevuto in dono: in effetti un tale desiderio non può essere umano
dunque va additato quale colpa degli dei, dell’insana e incontrollabile spinta
alla lussuria che l’uomo e la donna ripudiano, ma dalla quale non riescono proprio
a sottrarsi: «voglio essere posseduta dal toro
bianco, quello dalle corna d’oro … non è un capriccio ma un’acuta necessità!», come del resto recita Pasifae-Raffaella
nell’ormai indimenticabile monologo.
[1] Roberto Caradonna, artista e scrittore, è nato a Taranto e vive e lavora ad Amsterdam.