Inchiostri 65. Il grido del centauro

di Antonio Devicienti

«Nella freccia sta il grido del centauro. / Io la scoccai lontano verso la realtà» da Per diverse ragioni (Passigli Editori, Bagno a Ripoli 2017, p. 54).

È forse nel dislocare noi stessi senso e ragione: non la natura umana e animale del centauro significano e dicono, ma la sua freccia scagliata (scagliata parola), quello che, allontanandosi e allontanatosi, nega la staticità e l’immutabilità le quali, invece, sono sterili e già defunte.

E il grido-parola raggiunge la realtà, la lontananza sottesa allo scoccare del dardo dà significato e senso a una condizione che, necessariamente, guarda alla realtà da una distanza per raggiungerla, penetrarla, tentare di dirla.

C’è anche qualcosa di violento in questo scagliare il proprio grido (ma violenza e consumazione sono peculiari della dimensione in cui siamo venuti a essere, la nostra sopravvivenza si nutre per prima di uccisioni, smembramenti, masticazioni) – e, contemporaneamente, è questo il grido reiterato e alto, riaffermazione di vita-in-morte e di morte-in-vita che Hélène Cixous insegue, per esempio, in Ayaï! Le cri de la littérature (éditions Galilée, Paris 2013) – «On m’arrache le cri! Qui m’arrache le cri? Je le reprends!

Ensuite on écrit : on traduit dans l’ultrasilence de l’écriture les cris aigus et brefs de la réalité. La littérature c’est pour hurler longtemps, pousser les cris jusqu’à la musique. Le droit à la littérature ou le droit aux cris que la réalité et la communauté nous interdisent» (p. 53).

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