I dialetti sono parlati e amati, ma richiedono di essere studiati con metodi rigorosi. È opera di grande rigore scientifico il «DESN. Dizionario Etimologico e Storico del Napoletano», curato da Nicola De Blasi e Francesco Montuori, Firenze, Cesati, 2022 (i due dirigono e coordinano un gruppo di validi, più giovani collaboratori). Il napoletano è un dialetto di nobile tradizione, ricco di una letteratura straordinaria sin da epoca antica, popolata da autori le cui opere si leggono (non sempre) anche nelle scuole. A quella tradizione appartengono, tra i tanti, Giambattista Basile (da «Lo cunto de li cunti» Matteo Garrone ha tratto il film «Il racconto dei racconti» nel 2015); Eduardo Scarpetta («Qui rido io» si intitola la sua biografia, nel 2021 portata sullo schermo da Mario Martone, film di cui è protagonista Toni Servillo); Eduardo De Filippo, uno dei più grandi commediografi del Novecento, il cui teatro è stato più volte trasposto sugli schermi cinematografici (chi non ricorda «Matrimonio all’italiana» di Vittorio De Sica (1964), in cui Sophia Loren interpreta l’affascinante Filomena Marturano e Marcello Mastroianni il vago don Domenico Soriano) e che potremmo rivedere su Rai play, se solo guardassimo un po’ meno le insopportabili trasmissioni con cuochi e pentole e trascurassimo qualche puntata del Grande Fratello..
Il DESN è un dizionario storico che, grazie all’analisi di migliaia di testi, si propone di analizzare l’intera documentazione di ogni parola napoletana, a partire dalle attestazioni più antiche. I significati delle parole cambiano nel tempo, e il DESN registra puntualmente le variazioni e gli ampliamenti, passo dopo passo. Una sola voce basterà a dare un’idea di come l’opera è concepita (non traduco gli esempi, il lettore provi a interpretare, tutti conosciamo un po’ di napoletano). La voce «taluorno» ha tre diversi significati. 1. ‘suono o lamento, per lo più prolungato e noioso’ (ante 1614, V. Braca, «No se sente o taluorno / d’o viento»; ante 1632, Giambattista Basile, «La mamma che sentie sto taluorno, se ’magenaie che l’orza avesse fatto qualche male trattamiento»; via via fino a 2007, R. Russo, «Chiagnite! Vattiteve ’o musso! Sto taluorno è pe’ mme»). 2. ‘noia, guai, tormento’ (1646, Sgruttendio, «Tornaino fi’ a le chiaveche adderose / da Napole sbegnaie ogne taluorno»; via via fino a 1908, R. Bracco, «Nun siete una, di’, ch’è nu taluorno / ca chiagne sempe da che s’è allummata»). 3. ‘persona noiosa’ (1710, Autore anonimo, «Nce vo’ st’auto taluorno»; 1712, Autore anonimo, «Ca sbrecato che mm’aggio / sto taluorno de figliema: / voglio penzà tantillo / de fa lo matremmonio co Lillo»; via via fino a 1807, A.L. Tottola, «Chisto me pare proprio no taluorno».
Il commento tratteggia la storia della parola e propone una ipotesi etimologica ben argomentata. Si discutono le tesi precedenti, segnalando quando non esiste una soluzione soddisfacente e proponendo sempre una propria soluzione (motivata). Le vicende delle parole sono assimilabili (in un certo senso) alle biografie degli individui. Ogni termine presenta aspetti che richiedono cura, attenzione e studio, così come la vita e le caratteristiche di ogni persona possono suscitare interesse per il “significato” che hanno. Non basta andare alla ricerca dell’origine di una parola, bisogna ricostruirne la storia nel tempo. Non è lecito formulare ipotesi fondate su facili accostamenti fonetici o semantici né supplire alla scarsa scientificità con toni ameni e leggeri. L’etimologia è una scienza seria.
Ecco un bell’esempio. La parola «strèuso» («streuzo», «strèusu», «sdreuso», ecc.) in napoletano e in molti dialetti meridionali significa ‘strano’. Non attestata fino a metà dell’Ottocento, diventa abbastanza usuale in séguito, continuandosi fino ai nostri giorni. Uno studioso precedente (che è inutile nominare) sottolinea che nel vocabolo è intrinseco il concetto di qualcosa che “esce dal comune”. L’etimologia del vocabolo: potrebbe derivare da “extra-usum” (fuori dell’ordinario, del normale, “dell’usato”) o da “extra-legem” (quasi a rivestire alcunché di illegittimo). Potrebbe essere (in teoria), ma non c’è alcuna prova, manca la storia. Nella puntualissima analisi di Nicola De Blasi la storia esiste. La parola dialettale meridionale è adattamento di «Streltsi» («Strelsi», «Strelzi», ecc.), milizia speciale russa destinata alla difesa dello zar; la parola russa ha conosciuto una certa diffusione in Italia (e in Europa), quando gli Streltsi, sospettati di infedeltà, furono combattuti dallo zar Pietro il Grande, decimati e poi sciolti definitivamente (qualcosa di simile è accaduto ai nostri giorni all’armata Wagner, sciolta da Putin). Gli Streltsi avevano abbigliamenti e comportamenti strani, insoliti per le popolazioni italiane; dal nome proprio all’aggettivo il passaggio è breve; con questa nuova accezione, adattata alla fonetica dialettale, la forma si continua anche adesso.
All’inizio del DESN, i curatori si erano dati un obiettivo imponente: «cogliere e rappresentare, attraverso la storia del lessico dialettale napoletano, gli intrecci di lingua e di cultura che hanno caratterizzato la vita della città nel corso del tempo». Lo scopo è stato raggiunto il DESN è un modello per altre imprese simili che mi auguro sorgano in altre aree del paese. A condizione che ci siano anche altrove ricercatori capaci e infaticabili come quelli del gruppo napoletano.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 9 luglio 2023]