di Francesca Savina
Vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 2022, Annie Ernaux (Lillebonne, 1940) iscrive L’altra figlia nel fil rouge della scrittura del sé, che segue già dai primi romanzi. La sua produzione è particolarmente dibattuta nel panorama letterario, a causa della mancanza di un genere che la definisca in modo preciso. Di tarda produzione – la prima edizione esce in Francia nel 2011 – questa lunga letteraha una matrice autobiografica: l’autrice viene a sapere della morte di una sorella che non ha mai conosciuto. Una situazione intima e personale, questa, che trova sfogo nella sollecitazione fattale dalla casa editrice di creare qualcosa che non avrebbe mai pensato di scrivere. Nasce, così, uno sfogo rivolto a una persona mai incontrata, dagli importanti risvolti riflessivi.
Annie Ernaux è una bambina quando scopre di avere una sorella ormai morta. Di lei trascina un ricordo spesso vago, altre volte luminoso, che comincia in un momento preciso. È da una conversazione sussurrata della madre, infatti, ascoltata fuori dalla drogheria dei genitori, che apprende dell’esistenza di un’altra presenza familiare «più buona» di lei. «Racconta che oltre a me hanno avuto un’altra figlia e che è morta di difterite a sei anni […] Alla fine di te dice era più buona di quella lì Quella lì, sono io» (pp. 15-16). Non sembra essere la notizia in sé a sconvolgerla, quanto le parole materne che, taglienti, avviano una profonda riflessione comparativa. Una vita, quella di Annie bambina, che sembra essere stata un prolungamento di quella di qualcun altro, sebbene di questo “altro” non si sia mai parlato direttamente nella sua famiglia. «Fino alla prima media mi sono dovuta presentare in classe con la cartella di marocchino scuro che avevi avuto per iniziare la scuola […]. Devo aver avuto circa vent’anni quando ho capito che quella cartella […] era la tua» (pp. 46-47). Per molti anni, l’autrice-protagonista fingerà di non sapere e troverà nel silenzio e nella scrittura il suo modo di farsi amare: «Io non scrivo perché tu sei morta. Tu sei morta perché io possa scrivere, fa una grande differenza» (p. 36).