Nel 1974 presi dunque servizio alla Facoltà di Lettere a Lecce, in una regione che, per l’archeologia, appariva piuttosto periferica nel quadro nazionale. Massimo Pallottino aveva definito l’Adriatico “area depressa epistemologica” e non più incoraggianti erano le indicazioni degli studiosi che del Salento si erano occupati: Mario Bernardini aveva pubblicato un libretto dal titolo “Panorama archeologico dell’estremo Salento” e Oronzo Parlangeli, nella prolusione per il centenario del Museo Castromediano (1969), si era espresso con una frase senza speranza: “nessuno sa nulla dei Messapi e quel poco che noi riusciamo a sapere e così esile e scarso da assomigliare, praticamente, al nulla”. C’erano tutte le condizioni per accettare una sfida, fiducioso nelle grandi potenzialità della ricerca archeologica moderna, con l’aiuto di colleghi come Mimmo Pagliara e Giuliano Cremonesi, potendo coinvolgere le energie dei giovani dell’Ateneo, attivando un’ampia collaborazione internazionale e guardando ad un maestro come Cosimo De Giorgi che, ai primi del secolo scorso, aveva impresso alla ricerca archeologica nel Salento una impostazione scientifica, di stampo positivista, della quale si era perduto il senso nei decenni successivi. Alla sua opera si ispirò infatti il progetto di archeologia urbana “Lecce sotterranea”, che ha portato alla scoperta di nuovi monumenti della Lupiae romana, le terme, il santuario di Iside, gli impianti di produzione dell’olio, insieme alle trasformazioni dei secoli successivi.
In tutte queste attività è stato per me essenziale il rapporto con l’amministrazione comunale e con i Sindaci. In particolare voglio ricordare Stefano Salvemini, per la sua urbanitas, qualità indispensabile nel governo della città, che aveva voluto coinvolgermi nelle ricerche a Santa Maria del Tempio, divenuta, dopo la demolizione del Convento seicentesco, piazzetta Tito Schipa. Ma con Adriana Poli Bortone, a cavallo dei due secoli (1998-2007), il progetto sulla città antica potè manifestarsi in pieno e oggi possiamo affermare che la dimensione archeologica, nel sistema delle tre città: Lecce, Rudiae e Cavallino, può competere per importanza con il periodo barocco. I semi piantati in quegli anni continuano a dare frutti, come si vede nei lavori in corso di sistemazione dell’anfiteatro e nella straordinaria esperienza di fruizione virtuale, in realtà aumentata, del santuario di Iside a Palazzo Vernazza.
Qualche anno fa, trovandomi ad Oxford per una conferenza, ho visitato l’Ashmolean Museum, uno dei più importanti al mondo, dove sono esposti i tesori di Cnosso a Creta, portati alla luce da Sir Arthur Evans.
All’ingresso della sezione romana mi aveva colpito una scritta stampata in grande: «Romani sumus qui fuimus ante Rudini», «Siamo romani, noi che già fummo cittadini di Rudiae». La frase di Quinto Ennio, per i curatori del Museo inglese, era emblematica del processo di unificazione delle più diverse culture da parte di Roma. Per me costituiva motivo di grande orgoglio, a confermarmi nell’idea che bisognava ad ogni costo riportare alla luce l’anfiteatro di Rudiae, un sito che è ormai divenuto un punto attivo di riferimento culturale della città e ancor più lo diventerà in futuro.
Sono stati anni intensi di lavoro, ma quello che ho ricevuto da questa città e dal Salento supera di molto quello che ho potuto dare. Lungo tutto il cammino mi ha sempre accompagnato la passione per la ricerca, un sentimento che suscita ogni volta stupore, di fronte alle scoperte che si materializzano nello scavo. Come scrive Renzo Piano: «L’intelligenza e la bellezza di un progetto contano molto, ma non sono fondamentali. Quello che è essenziale è la passione. Per questo amo più Brunelleschi che Vitruvio». E la capacità di stupirsi è possibile soltanto riscoprendo ogni volta lo sguardo del bambino che è in ognuno di noi. Così Joel Dicker, celebre scrittore di gialli, esprime con efficacia questa dimensione dell’animo: «Ritrovare la strada verso quel bambino interiore è una delle tappe importanti della nostra identità, perché quel bambino ci ricorda chi siamo veramente. E’ la nostra essenza, la nostra sostanza originaria.». Con lo stupore di sempre, l’altro giorno, osservavo il sigillo minoico in agata, appena emerso dagli scavi dell’Athenaion di Castro: il sigillo del grifone, intagliato tremila e cinquecento anni fa in uno dei palazzi di Creta. Per la prima volta in Italia veniva alla luce un oggetto così prezioso, ad evocare le storie di Erodoto sulle origini cretesi dei Salentini e sulla venuta del cretese Idomeneo a Lecce.
In questa occasione di grande felicità, desidero esprimere tutta la mia gratitudine al Sindaco Carlo Salvemini, all’onorevole Adriana Poli Bortone e a tutti i membri del Consiglio Comunale di Lecce. Allo stesso tempo, nell’accettare questo onore, ritengo sia necessaria una buona dose di umiltà, se penso che 117 anni fa, nella tornata di questo Consiglio del 7 maggio 1906, il Sindaco Cav. Avv. Nicola Bodini propose di conferire la cittadinanza leccese al Prof. Cosimo De Giorgi e la proposta fu approvata per acclamazione.
Desidero condividere questo onore con la mia famiglia, con mia moglie Veronique, che mi sopporta da sessanta anni, con i miei figli Emanuela, Cosimo e Daniela e con tutte le mie allieve e allievi, uno per uno, da quelli che non hanno potuto completare gli studi a quelli che hanno raggiunto le vette più alte nella ricerca, nell’Università e nel Ministero dei Beni Culturali.
Grazie per quello che ho appreso da ciascuno di voi.