Paolo Nori, “Vi avverto che vivo per l’ultima volta”

Era bellissima, Anna Achmatova. Una fotografia la ritrae mentre si volta verso l’obiettivo, una mano sul collo, come se la aiutasse a tenere la testa più dritta. La spalla nuda. I capelli raccolti e i lineamenti duri, la bocca sottile, il naso aquilino. E poi gli occhi. I suoi occhi dolci creano un contrasto disarmante con la sua figura imponente, scolpita e imperturbabile come quella di una statua. Fu ritratta da Amedeo Modigliani che la volle come sua musa quando si conobbero a Parigi: “siete in me come un’ossessione. Tengo la vostra testa tra le mie mani e vi copro d’amore”. Si sedevano insieme, a Parigi, su una panchina nei Giardini di Lussemburgo e, sotto un ombrello nero, recitavano a memoria le poesie di Verlaine. Ma la Achmatova non è solo figura. Quando il marito viene ucciso, quando il figlio viene imprigionato, quando la sua poesia viene censurata, Achmatova diventa voce: “Io sono la vostra voce, il calore del vostro fiato/ il riflesso del vostro volto,/i vani palpiti di vane ali…/fa lo stesso, fino alla fine io sto con voi”. Voce di lingua russa che canta per la Russia. Poeta nazionale, è la voce più popolare della Russia sotto l’assedio nazista.  Ad Anna Achmatova non piaceva essere chiamata poetessa, voleva essere chiamata poeta. Ad Anna Achmatova non piaceva che la sua poesia consolasse. La poesia non consola, “è da sempre che vivo così, sconsolata”. Non deve consolare. Non vuole consolare. Achmatova parla di uomini, di vita quotidiana, del suo tempo e del dolore del suo tempo. Della guerra, dei volti che si infossano, della paura che si affaccia sotto le palpebre, dei capelli neri che si fanno argentei, di una preghiera sussurrata “nel freddo spietato, nell’afa di luglio”. Achmatova parla di noi. Noi e Anna Achmatova.

C’è stato un giorno, che era il 21 marzo dell’anno che corre, giornata mondiale della poesia. Per questo giorno, un insegnante propone agli studenti di una quarta liceo di scegliere ciascuno una poesia da leggere davanti ai compagni, se si voleva, senza obbligo, senza impegno. Solo per trascorrere un’ora diversa, a leggere poesie. Tutti ne avevano scelta una, tutti ne hanno letta una davanti alla classe. E poi, quando tutti avevano finito, la domanda era sorta inevitabile: “prof, e lei quale ha scelto?”. L’insegnante legge, piano, una poesia. Piccola, breve. Gli occhi sulla poesia. Quando è finita deve alzare gli occhi. Ci vuole coraggio, dopo aver letto una poesia così, ad alzare gli occhi su venti persone. Lo fa e incontra quelli dei suoi studenti. E non c’è stato bisogno di commentare. Anna Achmatova aveva detto tutto: “Prima di primavera c’è dei giorni/che alita già sotto la neve il prato/ che sussurrano i rami disadorni,/ è c’è un vento tenero ed alato./ Il tuo corpo si muove senza pena,/la tua casa non ti par più quella,/tu ricanti una vecchia cantilena,/e ti sembra ancora tanto bella.”

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 30 giugno 2023]

Questa voce è stata pubblicata in Letteratura, Recensioni e segnalazioni e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *