di Adele Errico
“Sono nata il 23 giugno 1889, nei pressi di Odessa. Mio padre, a quel tempo, era ingegnere-meccanico della flotta, collocato a riposo. A un anno sono stata trasportata al nord, a Carskoe Selo. Lì sono vissuta fino a sedici anni. (…) Scrissi la prima poesia a undici anni. I primi versi ch’io conobbi non furono né di Puškin, né di Lermontov, ma di Deržavin e di Nekrasov. Queste opere le conosceva a memoria la mia mamma”. Così racconta di sé, in “Io sono la vostra voce”, Anna Achmatova, poeta russo. Perché ad Anna Achmatova non piaceva essere chiamata poetessa. Le piaceva poeta. Perché la poesia non è fatto di uomini o di donne. Allora voleva essere chiamata poeta. Alla vita di questo poeta russo, Paolo Nori ha dedicato una recente pubblicazione dal titolo “Vi avverto che vivo per l’ultima volta” (Mondadori 2023). Sottotitolo: “Noi e Anna Achmatova”. Cosa c’entriamo noi con Anna Achmatova? C’entriamo. Perché Achmatova comincia a fare poesia partendo dalla sua cucina: “E nel secchiaio, in cucina,/è diventato verde il rame,/e brilla tanto, nella luce,/che a guardarlo si sta bene”. Non parte da lontano, parte da quello che ha davanti agli occhi, così la sua cucina può essere la nostra e quello che vede lei lo vediamo noi. Sceglie di raccontare una vita infelice, che è la sua, che è “orribile e meravigliosa” (nella traduzione di Paolo Nori), “triste e sublime” (nella traduzione di Evelina Pascucci). Perché è così che funziona la vita: “se sapeste da che spazzatura nascono i versi”. Anna Achmatova si chiamava Anna Gorenko, ma quel padre che era ingegnere meccanico non voleva che lei scrivesse poesia e le disse che se aveva quell’intenzione poteva scordarsi il suo cognome. E lei cambiò cognome. Achmatova, scrive Nori, “si tuffava dalle barche in mare aperto, faceva il bagno quando c’era la tempesta, prendeva il sole fino a perdere la pelle”. A ventuno anni sposa il poeta Nicolaj Gumilëv, sfinita dalla sua insistenza e dalle numerose minacce di suicidio. Dopo il matrimonio, Gumilëv parte in Africa e la abbandona per sei mesi. A Pietroburgo comincia a frequentare corsi di letteratura ed entra a far parte della “Corporazione dei poeti”, gruppo portavoce del movimento acmeista. Nel 1912 viene pubblicata la sua prima raccolta, “Sera”. Seguono “Rosario”, “Lo stormo bianco”, “Piantaggine”, “Anno Domini MCMXXI”. Dopo la fucilazione di Gumilëv è costretta a un periodo di censura e ritorna a pubblicare con “Il salice” e “Da sei libri”. Patisce la prigionia del figlio Lev, vittima del regime staliniano, e l’espulsione dall’”Unione degli scrittori sovietici”, nel 1946, con l’accusa di disimpegno politico.