Perché ha ragione chi si oppone al MES

Il MES si prefigge di attenuare i rischi di contagio connessi a eventuali crisi di un paese dell’area dell’euro e a frammentazione dell’area euro, ovvero l’aumento degli spread sui titoli di Stato. Si ricorderà che la frammentazione si è manifestata dopo la crisi finanziaria del 2008 (quella che fu denominata crisi dei debiti sovrani) e che si è manifestata con un aumento dei differenziali dei tassi di interesse, con conseguente necessità di avviare misure di austerità. Fanno bene coloro che manifestano la loro opposizione a questo strumento. Il MES, infatti, è un surrogato improprio della monetizzazione del debito che solo la BCE può operare o della regola di scorporo degli investimenti dal computo del debito. In altri termini, nel caso di crisi dei debiti sovrani (come quella appunto del 2012), la riduzione del debito pubblico/Pil non deve necessariamente avvenire mediante riduzioni della spesa pubblica – anzi, è bene che non avvengano attraverso questo canale, per gli effetti recessivi che ciò genera – ma può (e dovrebbe) avvenire per il tramite degli acquisti di titoli di Stato da parte della Banca Centrale. Per comprendere meglio i termini del problema, sono necessari due chiarimenti. In primo luogo, la posizione teorica sottostante il MES è intrinsecamente morale, come testimoniato dal fatto che la traduzione in tedesco del termine debito significa anche colpa. In secondo luogo, l’emissione di titoli di Stato da parte di un Paese europeo in difficoltà finanziarie impone maggiori oneri per gli altri, qualificandosi come atto di “free riding” (opportunismo). Infatti, l’aumento dell’emissione di titoli di un Paese in difficoltà accresce la quantità di titoli in concorrenza con quelli dei Paesi frugali e trasferisce anche rischiosità. Esistono due strade più indolori del Meccanismo Europeo di Stabilità per evitare la frammentazione dell’area euro e sono le seguenti:

1) L’introduzione di una regola che consenta ai Paesi membri di non conteggiare gli investimenti nel calcolo del debito. Si consideri, infatti, che la spesa pubblica in un dato periodo è sempre un mix di spesa corrente (per esempio, il pagamento delle pensioni o degli stipendi dei dipendenti pubblici) e di spesa in conto capitale (ovvero spesa per la costruzione di opere pubbliche). Gli investimenti pubblici sono un presupposto per la crescita economica di lungo periodo, dal momento che accrescono la domanda interna e anche la produttività del lavoro: si pensi alla costruzione di una strada o di un aeroporto e al conseguente effetto di complementarietà e di stimolo che questo ha per gli investimenti privati. Questa golden rule è stata proposta in particolare dall’Italia e in particolare da Romano Prodi.

2) L’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea. E’ cosa si è fatto con Mario Draghi alla presidenza e al suo whathever it takes (“salverò l’euro a qualunque costo”) del luglio 2012. Si è trattato di un ampio programma di acquisti di titoli da parte dell’Istituto, che non ha comportato, di per sé, dolorose misure di austerità e che ha ridotto al minimo la frammentazione dell’area euro. Si ricorderà che, seguendo Keynes, fin quando esistono risorse non pienamente utilizzate (per esempio disoccupazione, ma anche impianti non operanti), il debito pubblico è una necessità, dal momento la spesa pubblica è il solo strumento che tiene alta la domanda aggregata laddove un’economia di mercato deregolamentata produce spontaneamente esiti inefficienti.

[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 29 giugno 2023]

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