All’improvviso maturano pensieri mai comparsi prima. Quei compagni, quellecompagne, con cui si è vissuto per cinque anni, con i quali si credeva che si fossero creati vincoli indissolubili, si trasformano lentamente in tenere figure della memoria. Subito dopo questi esami verranno i tempi di scelte essenziali, di quelle scelte che incidono sul futuro, che decidono i destini di ciascuno. Talvolta i ragazzi hanno idee già definite. A volte, invece, sono ancora incerte, vaghe: figurazioni di un domani che scorrono lungo una linea d’orizzonte offuscato da una nebbia che tarda a diradarsi. Una volta si aveva la consapevolezza che una laurea avrebbe garantito un inserimento più o meno agevole e rapido nei contesti sociali e produttivi. Quella consapevolezza era una speranza, una motivazione, un generatore di energia psicologica. Da decenni certe consapevolezze si sono sgretolate. A questi ragazzi, a queste ragazze, toccherà fare i conti con mutazioni culturali rapidissime e costanti, condizioni di flessibilità accentuata, dovranno confrontarsi con necessità di riconversione professionale, di riformulazione delle conoscenze, di riorganizzazione e adeguamento delle competenze, con prospettive di mobilità sociale, lavorativa, culturale, con scenari globali che richiederanno la capacità di ricollocarsi continuamente in posizioni non emarginanti, non marginali. Dovranno avere uno sguardo lungo, un intuito straordinario, una capacità di previsione dei cambiamenti e poi di controllo e di governo di quei cambiamenti. In qualche caso ci sarà il bisogno anche di saperli provocare per determinare occasioni di sviluppo umano e professionale. Dovranno elaborare un nuovo pensiero, una nuova creatività. Non sarà facile. Serviranno preparazione e intelligenza, senza dubbio. Soprattutto servirà passione.
Allora forse è questo che deve diventare l’elemento determinante nella scelta degli studi universitari. La passione. Al di là di ogni calcolo, di ogni pragmatismo, di ogni indagine di mercato, di ogni previsione degli esperti, di qualsiasi promessa, che se non è falsa quantomeno è arbitraria. Occorre avere passione per quello che si vorrà fare. Quando si ha passione si è disposti ai sacrifici per tutta la vita, a non guardare mai l’orologio quando si lavora, a non andare in ferie neppure a Ferragosto, a confrontarsi con le difficoltà con impegno e leggerezza, a studiare e a studiare. Quando si ha passione la noia del lavoro è una condizione sconosciuta. Si avverte la stanchezza ma non la fatica, perché c’è una componente ludica del lavoro. Come succede ai bambini quando giocano: si stancano ma non si affaticano. Quando si ha passione si è disposti anche a guadagnare poco. Poi è solo la passione che determina la qualità del lavoro, soltanto il credere nelle cose che si fanno, a prescindere da quali siano le cose, dal tipo di lavoro, dalle caratteristiche del mestiere. Come dice Robert M. Pirsig in quello straordinario libro che è “ Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, la differenza tra un buon meccanico e un cattivo meccanico come tra un buon matematico e un cattivo matematico, è che un buon meccanico deve tenerci. Ecco, dunque: probabilmente, ora, con i tempi che corrono, l’unico criterio che può determinare una scelta non può essere altro che quello di sentire dentro di sé quanta passione c’è per il lavoro che si vuole fare e per lo studio che prepara a quel lavoro. In fondo è solo con passione – per passione – che si scalano montagne, pur sapendo che sulla vetta non c’è altro che pietra e gelo.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 25 giugno 2023]