Se Atene piange, Sparta non ride

Dal local al global. Il mercato dell’arte tra storia e contemporaneità

di Massimo Galiotta


Geoffrey Rush alias “Virgil Oldman” nel film di Giuseppe Tornatore La migliore offerta (Warner Bros, 2013)

«La situazione dell’arte in Trentino», titolo dello stimolante “consesso” – così lo ha definito a conclusione dei lavori l’editore Warin Dusatti – recentemente organizzato a Rovereto dalla rivista Arte Trentina, non è poi così diversa da quella di molte altre regioni italiane, le variabili in gioco infatti sono sempre le stesse. Certamente diversa la situazione in Europa, soprattutto per i vicini cugini d’oltralpe e non solo, lontani dall’essere afflitti dalla “sindrome da regionalismo”: vantano una storia unitaria meno recente di quella del nostro Paese. È chiaro come, in prospettiva di aggiornamento dei valori delle opere d’arte, ad esempio per l’intervallo storico 1850-1950, lo stesso non si possa dire per le tre macro-aree geografiche dello “stivale”, con valori spesso in controtendenza rispetto ai risultati registrati nei più importanti Paesi europei.

Superando i nomi storici, ormai rari, visibili solo nei musei, oggetto di scambi milionari nella prima metà del Novecento, su tutti quelli oggetto delle compravendite passate per le mani dei maggiori mercanti internazionali, come la coppia Alessandro Contini Bonacossi-Roberto Longhi, il resto della popolazione artistica italiana, a parte le poche eccezioni riconducibili agli emiliani e ai veneti più noti o ai toscani e lombardi più quotati, vive in un limbo che dagli anni Novanta in poi ha osservato un lento e costante deprezzamento dell’opera.

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