Di mestiere faccio il linguista 10. L’uso dell’articolo davanti ai nomi propri di persona

Ci sono anche domande di autovalutazione linguistica. Nella terza inchiesta (finora ne sono state avviate cinque, ognuna con molte domande) si chiede: «Nel tuo paese o nella tua città è usuale impiegare l’articolo determinativo davanti ai nomi di persona femminili (es. la Sara, la Marta, la Valentina)?»; «Nel tuo paese o nella tua citta è usuale impiegare l’articolo determinativo davanti ai nomi di persona maschili (es. il Luca, l’Antonio, il Michele)»? Proprio il modulo da cui siamo partiti, «l’Osvaldo». Alle domande gli interrogati possono rispondere «no», «raramente», «sì» e questi risultati vengono riportati sulla carta d’Italia. Nelle due cartine che ci riguardano il colore chiaro segnala le zone dove prevalgono le risposte affermative, lo scuro dove sono maggioritarie quelle negative. Il chiaro, con varie sfumature d’intensità, si concentra nelle zone del nord, lo scuro nel resto del territorio nazionale, a parte l’eccezione salentina (dove sono normali i tipi come «la Maria», «la Cinzia» o, in dialetto, «lu Pietru», «lu Ninu»); la distribuzione territoriale è inequivocabile, l’articolo ricorre con maggiore frequenza davanti ai nomi propri femminili, è relativamente meno diffuso davanti ai nomi propri maschili.

La variazione  non riguarda solo la lingua parlata dei nostri giorni. Ricorre anche in esempi letterari illustri dei secoli passati e di oggi, che si possono leggere in «Giusto, sbagliato, dipende», un bel libro pubblicato dall’Accademia della Crusca proprio per rispondere ai dubbi sulla lingua italiana: «Ricorditi di me, che son la Pia» invoca, rivolgendosi a Dante («Divina Commedia», «Purgatorio» V 133, anno 1319 circa),  Pia de’ Tolomei,  nata a Siena e morta in Maremma in circostanze misteriose nelle quali appare implicato il marito (un femminicidio trecentesco);  o «Lascia star la Nena, che non ha questo; lascia star la Nena, che non ha quest’altro» raccomanda, finché è in vita, la mamma a suo figlio Santo, incapricciato di una donna senza dote che non fa per lui (Giovanni Verga, «Pane nero», nella raccolta delle «Novelle Rusticane», anno 1883).

Negli scrittori contemporanei l’uso dell’articolo che precede il nome proprio vale a caratterizzare il parlato settentrionale dei protagonisti. Lo troviamo in autori famosi, quando nello stile espressivo vogliono riprodurre l’atmosfera locale. Piero Chiara e Giovanni Testori mettono di continuo articoli davanti ai nomi propri, femminili e maschili. In «Lessico famigliare» di Natalia Ginzburg, romanzo che racconta in forma partecipata e autoironica la vita quotidiana di una famiglia dell’alta borghesia piemontese dal 1925 ai primi anni ’50, si trova: «Finché capitò un giorno, non so come, in casa nostra la Natalinae ci rimase trent’anni»;  «mia madre cantava, e scrollava i capelli bagnati nell’aria del mattino. Poi andava a discorrere, nella stanza da stiro, con la Natalina e la Rina». L’integrazione dell’articolo si dà anche nel caso di insiemi composti da nome e cognome:  «La Paola era poi, dal canto suo, anche lei gelosa delle amiche di mia madre. Non della Frances, o della Paola Carrara. Era gelosa delle amiche giovani».

L’articolo che precede il nome maschile è più raro. Nello stesso romanzo di Ginzburg il costrutto è sporadico, c’è un solo nome maschile in cui l’articolo è regolarmente integrato. L’eccezionalità conferisce a quel nome il massimo rilievo, l’apice della marcatezza: «Il Silvio era stato un musicista e un letterato […]. Il Silvio era molto elegante, si vestiva con grande cura […]. C’era poi del Silvio, in casa, un’opera rimasta incompiuta, il Peer Gynt […]. Com’era spiritoso il Silvio! – diceva sempre mia madre. – com’era simpatico!». «Il Silvio» non è un politico dei nostri giorni, è Silvio Tanzi, zio materno della narratrice: «[mia nonna Pina] aveva avuto tre figli, il Silvio, mia madre e la Drusilla, che era miope e rompeva sempre gli occhiali […]. Il suo figlio maggiore, il Silvio, si uccise sparandosi alla tempia, una notte, nei giardini pubblici di Milano»: un gesto inspiegabile che giustifica la straordinarietà dell’uso linguistico. «S’è beccato un bel tre mesi il Gino», cantava Giorgio Gaber nella canzone «La ballata del Cerutti» (1961), scritta «per uno che sta a Milano / al Giambellino», quartiere milanese attraversato negli anni Sessanta del secolo scorso da forme diffuse di criminalità e microcriminalità e ancor oggi da scontri tra clan, spaccio di droga, racket di vario tipo e occupazioni abusive.

Proprio il titolo della canzone di Gaber, con la preposizione articolata davanti al cognome, ci offre l’argomento di una prossima puntata della nostra rubrica: l’uso dell’articolo davanti ai cognomi.

                                                                       [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 25 giugno 2023]

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