Semine. Laboratorio di scrittura, a cura di Simone Giorgino 2. Gianni Bosio, Clara Longhini, 1968. Una ricerca in Salento. Suoni, grida, canti, rumori, storie, immagini

La seconda parte del volume, vale a dire il diario della Longhini, è senza dubbio la punta di diamante dell’opera, la sua sezione più pregnante. Dalle coinvolgenti righe del quaderno emerge lo sguardo, tra l’incantato e il disincantato, che i due mantovani, giunti nel Salento nel lontano 1968, rivolgono a questa terra dolceamara di canto e di sudore. Il lettore non può sfuggire all’immedesimazione nella giovane Clara, la quale gli permette, pagina dopo pagina, di entrare nell’anima delle feste patronali salentine, di attraversare in auto quei lembi di terra che separano gli innumerevoli paesini del tacco d’Italia, di ascoltare il canto di un’anziana donna tra le bianche mura di Otranto o quello di un contadino che ara la propria campagna martanese. Ben ottantotto fotografie, opera dalla stessa Clara, completano il significato delle righe del diario: alcuni scatti in particolare, come quelli che ritraggono l’anziana otrantina Angela Bello con sua figlia e la sua nipotina, lasciano trasparire un impressionante grado di carica emotiva. Nell’impaginazione del volume seguono le trascrizioni delle tracce sonore che Bosio e Longhini raccolsero con il loro magnetofono durante la ricerca. Oltre alle numerose canzoni popolari che ci aspetteremmo di trovare in un’opera di questo genere, spiccano registrazioni un po’ sui generis che ci consegnano alcune scene vivide del Salento di fine anni Sessanta: il chiasso delle feste patronali di Cavallino, Soleto, Otranto, Martano…, i rumori assordanti del mercato di Lecce, i belati confusi di un gregge di pecore, il difficoltoso incedere del traino sulle strade di campagna salentine, gli sproni che il contadino rivolge al suo cavallo durante l’aratura… Complementari a questa documentazione sonora sono le successive osservazioni musicologiche ad opera di Ignazio Macchiarella, professore di Etnomusicologia all’Università di Cagliari. Si tratta senza dubbio della sezione più complessa del volume, in virtù soprattutto della natura tecnica delle riflessioni esposte, le quali, per essere comprese, necessitano di conoscenze di livello medio-alto in ambito musicologico. Fanno da cornice all’opera, collocandosi in apertura come in chiusura, riflessioni di carattere vario attorno al viaggio di ricerca di Bosio e Longhini: oltre a Ivan della Mea e Luigi Chiriatti, curatori dell’opera, a questo corpus di contributi hanno collaborato anche Adolfo Mignemi e Cesare Bermani.

1968. Una ricerca in Salento è quella che si potrebbe definire una vera e propria opera totale: le appassionate e appassionanti righe del diario di Clara, le foto commoventi che lei stessa ha scattato, le melodie dal sapore antico che le registrazioni ci hanno trasmesso, le attente trascrizioni dei testi e le loro puntuali traduzioni, le note dei canti minuziosamente riportate su pentagramma per i più esperti… Come indica il sottotitolo dell’opera, attraverso suoni grida canti rumori storie immagini, il lettore compie un viaggio nel tempo alla (ri)scoperta del Salento degli anni Sessanta: diventa egli stesso testimone delle ultimissime tracce di una realtà urbana e rurale originale, verace, centenaria, che di lì a poco sarebbe stata quasi completamente spazzata via dall’inarrestabile globalizzazione che avrebbe investito il Salento, così come la maggior parte della nostra penisola, nel decennio successivo. Questo volume è una tangibile testimonianza di quella pasoliniana scomparsa delle realtà rurali che tanto ha impoverito il nostro Paese negli ultimi cinque decenni: scomparsa di tradizioni, di festività, di lingue, di musiche, di tecniche agricole… in una sola espressione, di storie. Se l’essenza di un territorio altro non è che la somma delle singole vicende delle genti che lo abitano e lo hanno abitato, se la ‘grande storia’ del Salento non si rivela nient’altro che la somma delle ‘piccole storie’ di chi ha calpestato i suoi cuti e ha trovato rifugio nelle sue pajare, allora bisogna riconoscere a Bosio e alla Longhini l’immenso merito di aver saputo rappresentare a trecentosessanta gradi questo micro-macrocosmo meridionale in modo realistico e appassionato, dosando queste due maniere del narrare in maniera sapiente ed equilibrata. Uno storytelling del Salento ante-litteram che viene condotto da una coppia di voci che, prima di quel momento, con il Salento aveva avuto poco o niente a che fare: quelli dei due coniugi mantovani sono degli sguardi totalmente estranei alla realtà geografica, sociale, linguistica del tacco d’Italia e che, purtuttavia, non possono esimersi dall’ammirarne e dal descriverne il carattere multiforme e multicolore, dolce come i mustazzoli e le cupete in bella mostra sulle bancarelle delle feste popolari, amaro come le lacrime di Angela Bello quando, con il suo lamento funebre De dhu vinne stu jentu refulu, rievoca la morte in guerra del figlio a soli ventisette anni.

L’obiettivo che Bosio e Longhini si prefiggono attraverso la loro ricerca nel Salento nel 1968 è quanto mai ambizioso. I due studiosi si augurano che le tracce che hanno impresso sul nastro magnetico «fra cent’anni verranno ancora ascoltate e studiate all’università […] in Italia in America in Russia, dappertutto» e che, con esse, anche l’identità dei portatori «sarà ricordata, […] con i loro nomi e i cognomi, perché sono loro che hanno ricordato queste cose» (p. 67). A noi, uomini e donne, studenti e studentesse, lettori e lettrici del ventunesimo secolo, l’oneroso compito di dare senso e futuro all’impegno di Bosio e Longhini, di salvare questo preziosissimo repertorio di canti tradizionali salentini da un oblio che sa di sconfitta.

[Gianni Bosio, Clara Longhini, 1968. Una ricerca in Salento. Suoni, grida, canti, rumori, storie, immagini, a cura di Luigi Chiriatti, Ivan Della Mea, Clara Longhini, Calimera (LE), Kurumuny, 2007, pp. 348, euro 25,00 – ISBN-13: 978-8895161020]

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