Turismo e crescita economica alla prova dei numeri. Una ricerca di Unisalento

a) Gli afflussi turistici determinano una riallocazione della forza lavoro da settori ad alta a bassa produttività. Tipicamente, nel Salento, questo è avvenuto come conseguenza dell’espulsione dei contadini dalla terra devastata dalla Xylella (una sorta di accumulazione originaria turistica) nella conduzione di lidi balneari e di ristorazione con bassa qualità dell’offerta.

b) Le attività turistiche, in quest’area, si avvalgono di forza-lavoro con basso capitale umano o sottoccupato. Ne deriva una condizione per la quale la produttività del lavoro è molto inferiore a quella potenziale.

È stato statisticamente rilevato che gli afflussi turistici in loco costituiscono un afflusso di liquidità di breve periodo e stagionale e creano una forte dipendenza dai mercati esteri o nazionali. Ciò sia con riferimento alla volatilità dei redditi dei potenziali turisti, sia con riferimento alla mutevolezza delle preferenze. Inoltre, espongono Lecce e provincia a una forte concorrenza con altri paesi periferici, con particolare riguardo (negli anni più recenti) a Grecia e Albania. In più, si tratta prevalentemente di un turismo povero, che solo in rare occasioni intercetta visitatori con redditi elevati. Nella provincia di Lecce, al 2022, esistono solo 12 strutture alberghiere a 5 stelle (su un totale di 3.122 hotel), con complessivi 706 posti, a fronte di 137 alberghi a 3 stelle e di ben 10.021 stanze per questa fascia. Uno dei canali attraverso i quali è la crescita economica un prius rispetto all’attrazione dei turisti è il potenziamento del sistema dei trasporti. Innanzitutto, maggiore crescita implica maggiore attrattività del territorio, soprattutto sotto forma di esercizi commerciali, di ristorazione e lidi con elevata qualità dell’offerta. In secondo luogo, i territori più ricchi – o su un sentiero di modernizzazione – sono quelli nei quali la logistica funziona meglio. Le indicazioni di policy riguardano due tipologie di intervento. In primo luogo, occorrerebbe incentivare la nascita sul territorio di una più robusta struttura industriale, dal momento che – pur in una fase mondiale di de-industrializzazione – si conferma empiricamente vero che è l’industria il motore della crescita. In secondo luogo, occorre incentivare l’assunzione di personale qualificato e i corsi di formazione: le strategie delle imprese esistenti sono per lo più focalizzate sul risparmio dei costi e su una politica di prezzo predatoria (l’aumento anche notevole dei prezzi non sconta la riduzione della domanda futura), con pochissimi investimenti sulla formazione dei dipendenti.

[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 21 giugno 2023]

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