La parola antagonista dell’avanguardia: Lucini e i futuristi (Parte prima)

Alcuni dei rappresentanti più noti di questo genere (o sottogenere) in campo poetico nell’Ottocento, con le dovute differenze che esistono tra di loro, sono, oltre al Carducci dei Giambi ed Epodi, Felice Cavallotti, Lorenzo Stecchetti, Mario Rapisardi, Pompeo Bettini, Carlo Dossi, e una poetessa insospettabile sotto questo aspetto come Ada Negri. Subito dopo l’Unità, nella poesia italiana emergono alcuni temi di carattere civile e politico affrontati da questi autori,  come, ad esempio, il sostegno ai popoli oppressi, un desiderio diffuso di pace, di giustizia e solidarietà internazionale, ma anche l’anticlericalismo, l’antimilitarismo, una posizione antimonarchica, il rifiuto delle consorterie borghesi. Successivamente, con l’affermarsi della scuola verista, si affacciano anche temi sociali come la condizione operaia e contadina, l’attesa del riscatto della plebe e di una palingenesi.

Ma entriamo ora nel merito del nostro intervento e il primo nome che è necessario citare e quello sul quale ci soffermeremo più a lungo, è quello di Gian Pietro Lucini. Tutti sanno che a riscoprire e a riproporre all’attenzione degli studiosi questo autore, fino ad allora dimenticato, fu Edoardo Sanguineti che nel 1969, quindi più di cinquant’anni fa ormai, lo inserì nell’antologia, da lui curata, Poesia italiana del Novecento, dandogli ampio spazio e provocando non poche polemiche. Ebbene Sanguineti, nell’Introduzione, parlava, fra l’altro, di Lucini come del «primo dei moderni e con tutti i suoi buoni titoli, di artista e di teorico. Perché è lui, ‒ continuava ‒ il grande alfiere e il praticante principe, da noi, del verso libero»[3]: parlava ancora di uno «sperimentatore a livello europeo», di un poeta che «ha lo spirito buono del contestatore, nell’accezione oggi vulgata, cioè del rivoltoso», e del «primo poeta provocatore (poeta petroliero, avrebbe forse egli detto volentieri, per sé) del Parnaso del nostro secolo»[4], e definiva la sua  «poesia civile … impegnata … satirica»[5]. Ma, a proposito di definizioni, vorrei citare anche quella, recentissima, di «poeta guastatore»[6], data da Pino Langella a Lucini, oltre che a Govoni e Palazzeschi, che fa al caso nostro e va nella stessa direzione di «poeta petroliere», anche se non bisogna dimenticare che accanto al filone dell’impegno civile e politico in questo autore c’è anche quello dell’impegno più strettamente letterario che si è manifestato nel tentativo di promuovere una via italiana al simbolismo e nella proposta e nella attuazione del verso libero (e il riferimento d’obbligo è al libro Ragion poetica e programma del verso libero[7]).

Non è nostra intenzione passare in rassegna, in questa sede, la fortuna critica di Lucini, che dopo, grosso modo, un ventennio di studi, quello appunto degli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, (oltre a Sanguineti, bisogna citare almeno Glauco Viazzi e Fausto Curi), è ritornato un po’ nell’ombra, mentre tanti aspetti della sua opera ancora meriterebbero di essere approfonditi. Soltanto un gruppo di ricercatori dell’Ateneo genovese, in occasione del centenario della morte, avvenuta nel 1914, lo ha preso nuovamente in considerazione dedicandogli, oltre a un paio di monografie[8], un fascicolo speciale di «Resine»[9], e più recentemente un volume miscellaneo[10], che rientra appunto in un progetto teso a rileggere l’opera luciniana e a individuare nuove piste di ricerca basate sulla consultazione delle carte dello scrittore.

Per Lucini, com’è noto, è stata fondamentale la formazione avvenuta a Milano nell’ambiente della prima Scapigliatura a contatto con scrittori e intellettuali di tendenza democratico-radicale come Felice Cavallotti, Arcangelo Ghisleri, Felice Cameroni, come pure ha contato molto su di lui la tradizione letteraria lombarda che ha nei nomi di Parini e Porta i numi tutelari. Non a caso, motivi di polemica politica e sociale contro l’oppressione della classe dirigente si trovano già nella novella giovanile Spirito ribelle (1888), poi diventata Gian Pietro da Core (1895)[11], dove il protagonista è un giovane contadino che durante la leva militare prende coscienza di classe aderendo al socialismo e dà vita a una rivolta nel suo paese. Più avanti sono notevoli, in questa direzione, alcune composizione, come La Commune e Maggio di sangue[12], entrambe del 1898, in cui Lucini denuncia i gravi fatti di sangue avvenuti a Parigi nel 1871 e a Milano nel ’98, in seguito alle spietate repressioni di manifestazioni popolari attuate dalle truppe del governo francese e di quello italiano.

Ma l’opera più significativa in questo versante della produzione luciniana, quello, diciamo, più impegnato politicamente e socialmente, è senza dubbio Revolverate, la raccolta che apparve nel 1909 nelle Edizioni di «Poesia», dirette da Marinetti, che l’anno successivo diventeranno Edizioni futuriste di «Poesia», la collana ufficiale del futurismo con cui lo scrittore lombardo ebbe un rapporto difficile, controverso[13]. Non a caso il libro aveva una prefazione del fondatore del movimento, che definiva Lucini «il più strano avversario, ma anche, involontariamente, il più strenuo difensore»[14] del futurismo. Bene, in Revolverate, per cui non a caso Curi ha parlato di una «poesia politica»[15] tout court, l’autore procede alla più sistematica, radicale critica  nei confronti delle principali istituzioni e strutture dello Stato italiano (monarchia, potere politico, potere militare, classe borghese), colpendole con le armi del sarcasmo, della satira, della parodia con una violenza che è difficile trovare nella letteratura italiana, non solo del Novecento.

Ma in Lucini c’è anche, com’è naturale nell’epoca della Modernità letteraria, una cura formale che si rivela nelle insolite scelte lessicali, di sapore espressionistico, nel raffinato gioco intertestuale, nella sperimentazione metrica che caratterizzano queste composizioni e che mancano del tutto nei poeti dell’Ottocento dove a prevalere invece è spesso una sovrabbondante enfasi. Ma questi aspetti, di natura tecnico-formale, non saranno presi da noi in considerazione anche perché sono stati già abbondantemente trattati[16]. Anche la struttura di certi componimenti di Revolverate rivela queste indubbie doti. Essi infatti si presentano come una sorta di (comica) rappresentazione, di messinscena teatrale, in quanto sono gli stessi protagonisti che parlano in prima persona, smascherando comportamenti, vizi, abitudini, malefatte delle classi sociali o delle  categorie alle quali appartengono.

Esaminiamone alcuni allora e partiamo dalla Canzone del Giovane Signore, che costituisce una satira feroce contro abitudini, ambizioni, vizi, misfatti, turpitudini della classe borghese, un altro dei «perpetui idoli negativi» di Lucini, come ha notato Sanguineti, accanto al «trono», all’«altare», alla «milizia»[17]. Questa classe è qui esemplificata appunto dal protagonista, un parvenu millantatore, avido di denari, affarista senza scrupoli, erotomane con tendenze pedofile, inquinatore con le sue fabbriche delle campagne e dei fiumi circostanti. E nei seguenti versi colpisce proprio la coscienza ecologica ante litteram di Lucini:

Ma, pregio per moda viaggiare in incognito; 

Proteo multiforme, preferisco mostrarmi 

come il biondo padrone delle fabriche,

che avvelenan di fumi e di  miasmi 

i campi suburbani e i rivi torbidi.

Perché son la Città ora riassunta,

da me specifico cittadino assurto alla gloria civile

dalla scontata generosità della serata del Pallamaglio

(vv. 134-141)[18],

dove c’è il riferimento al giuramento della Pallacorda, che portò appunto al trionfo della borghesia (il “terzo stato”) durante la Rivoluzione francese. Ma la satira, la beffa, il sarcasmo, la parodia ‒ ci tiene a precisare Lucini all’inizio, prima che il protagonista (il «Giovane Signore» appunto) prenda la parola ‒ sono le sole armi possibili al momento attuale prima che l’auspicata Rivoluzione spazzi via un mondo così corrotto e ormai incurabile:

Questo solo ti è lecito oggidì;

ma quando l’Epoca farà ritorno

sullo zodiaco insanguinato,

segna poeta, padrone e brigata

alla corvata del contrappasso;

per vendicarti, un giorno, accontentati qui

della sceda incruenta, umilmente, così

(vv. 36-42)[19].

Nella Canzone della Cortigianetta, invece, balza in primo piano la storia di una adolescente di umile estrazione sociale che da sartina e cucitrice diventa prostituta per necessità. Qui sono descritte le numerose metamorfosi della protagonista: «Fata discinta ed ebra un poco» (v. 15), Cenerentola discesa «un giorno da una fiaba contemporanea» (v. 16), «farfalla splendida multicolore» (v.62), «esperta cantarina apocrifa» (v.65), «regina della moda», «Eterno biondo Feminino» (v. 114), e ancora «larva crepuscolare» (v. 149), «sciupata rondinella delle strade» (151), «rifiuto della grande Città» (v. 152), «sacerdotessa compresa e insoddisfatta» (v.121), «vergognosa e crudele maestra di vita» (v. 122). Ma il motivo della prostituzione, così diffuso nella poesia del primo Novecento, non è pretesto a considerazioni di tipo morale, né tantomeno moralistico, ma serve per denunciare polemicamente ancora una volta abitudini e vizi della classe borghese, a cui si rivolge la donna, lanciando un’invettiva contro di essa e preannunciando anche qui la vendetta:

Borghesi, io vi balocco 

come un giorno mio padre pitocco, 

che, ad ingannar la fame, 

ballonzolava pietre in sulla strada

dall’una all’altra mano

e le stringeva in pugno,

guardando al di là delle siepi i giardini

colmi di frutti maturi,

e in sulle panche, sotto le pergole,

soffici cuscini per li ozi sicuri

(vv. 120-129)[20].

La definitiva trasformazione della Cortigianetta è, infatti, in «angiola nera di vendicazione» (v.183), espressione che riprende i danteschi «angeli neri» del XXIII canto dell’Inferno dantesco e sembra preannunciare l’«Angelo nero» montaliano di  Satura. E la «vendicazione», come chiarisce Sanguineti, è un vero e proprio «mito luciniano»[21] che allude appunto al riscatto delle plebi, al rinnovamento ineluttabile e ormai indifferibile della società. Ecco i versi:

D’oggi a dimane sarò il vituperio

de’ vostri ricchi vizii, decaduta;

sarò le vostre passioni, inconfessate; 

vi verrò in contro colle mani tese, 

non mi vorrete conoscere più.

Vi ricompenserò coll’odio e col veleno,

che distilla il mio sesso e che mi abbrucia;

passerò su di voi, sulla vostra famiglia,

come il castigo, come l’uragano,

larva di disonore e di fanghiglia,

come un’angiola nera di vendicazione

                           (vv. 173-183)[22].

Un altro dei temi fondamentali delle Revolverate e di Lucini più in generale è l’antimilitarismo, a cui aveva deciso di dedicare anche uno scritto rimasto inedito a causa della morte[23]. Questo tema è presente già nella Canzone del Giovane Eroe, che sembra anticipare la composizione più famosa di questo libro, il Lai a Melisanda Contessa di Tripoli che esamineremo tra poco. Si tratta di una satira delle aspirazioni coloniali e imperialistiche dell’Italietta giolittiana, qui rappresentate dal protagonista, un giovane ufficiale, che parla sempre, dopo la prima strofa, in prima persona, esteta, maschilista, profittatore, amante delle belle donne e della bella vita e che desidera partecipare alle guerre coloniali non certo per amore di patria ma per ragioni meno confessabili alle quali infatti accenna con una certa reticenza, come dimostrano i numerosi puntini di sospensione usati:

Perciò desidero d’andare a Tripoli,

pacifico guerriero,

per procacciarvi stoffe, arazzi, cuscini,

nielli damaschini, artifizi novelli ed orientali

d’aggiungere in collana ai vizii europei delle guarnigioni,

per ritentar, con voi, sopra a queste dovizie,

in mille modi e svariato costume,

paradisiache blandizie, quella faccenda, … sì…;

lasciate dire; … non arrossite così

(vv. 49-57)[24]

[In Contronarrazioni. Il racconto del potere nella modernità letteraria, Atti del XXII Convegno Internazionale della MOD, 17-19 giugno 2019, a cura di E. Mondello, G. Nisini, M. Venturini, Tomo I, Pisa, Edizioni ETS, 2023, pp. 3-17].

.


[1] Ci riferiamo a  Dio borghese. Poesia sociale in Italia 1877-1900, a cura e con introduzione di A. Zavaroni, Mazzotta, Milano 1978; Poeti della rivolta. Da Carducci a Lucini, a cura di P.C. Masini, BUR Rizzoli, Milano 1978;  Petrolio e assenzio. La ribellione in versi (1870-1900), a cura di G. Iannaccone, Salerno Editrice, Roma 2010.

[2] Italia ribelle: narratori, poeti e personaggi della rivolta (1860-1920), a cura C. Brancaleoni, S. Gentili, C.P. Caselli, con una Introduzione di S. Gentili,  Morlacchi, Perugia 2018.

[3] E. Sanguineti, Introduzione all’antologia, da lui curata, Poesia italiana del Novecento, Einaudi, Torino 1969, p. XXXIX.

[4] Ivi, p. XL.

[5] Ivi, p. XXXIX.

[6] G. Langella, La modernità letteraria. Manuale di letteratura italiana moderna e contemporanea, Pearson, Milano-Torino  2021, p. 210.

[7] Cfr. G. P. Lucini, Ragion poetica e programma del verso libero, Edizione di «Poesia», Milano 1908; di quest’opera  esiste ora la ristampa anastatica col titolo Il verso libero. Proposta, a cura di P. L. Ferro, Edizioni  Interlinea, Novara, 2008.

[8] Cfr. M. Manfredini, Oltre la consuetudine. Studi su Gian Pietro Lucini, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2014; P. L. Ferro, La penna d’oca e lo stocco d’acciaio. Gian Pietro Lucini, Arcangelo Ghisleri e i periodici repubblicani nella crisi dei fine secolo, Mimesis, Milano 2014.

[9] Cfr. «Resine», numero monografico col titolo Nei giardini del Melibeo, XXXII-XXXIII(2013-2014), n. 137-140.

[10] Un Prometeo male incatenato. Gian Pietro Lucini, le opere, le carte, a cura di M. Berisso, L. Cavaglieri, M. Manfredini, Mimesis, Milano-Udine 2017.

[11] Cfr. G. P. Lucini, Storia della evoluzione della Idea: Gian Pietro da Core, Casa Editrice Galli, Milano 1895.

[12] Ora in G. P. Lucini, Prose e canzoni amare, a cura di I. Ghidetti con una prefazione di G. Luti, Vallecchi, Firenze 1971, pp. 248-250.

[13] Su questo argomento esistono numerosi studi, a partire dal numero monografico del «Verri», XV (1970), n. 33-34, intitolato appunto Lucini e il futurismo e dal vol,  G. P. Lucini, Marinetti futurismo futuristi. Saggi e interventi, a cura di M. Artioli, Massimiliano Boni, Bologna 1975.

[14] F.T. Marinetti, Prefazione futurista a G.P. Lucini, Revolverate, Edizioni futuriste di «Poesia», Milano 1909, ora in G.P. Lucini, Revolverate e Nuove Revolverate, a cura di E. Sanguineti, Einaudi, Torino, 1975, p. 5.

[15] F. Curi, La poesia italiana del Novecento, Laterza, Bari 1999, p. 62.

[16] Per quanto riguarda l’aspetto metrico cfr. P. Giovannetti, Metrica del verso libero italiano, Marcos y Marcos, Milano 1994, passim; A. Bertoni, Dai simbolisti al Novecento. Le origini del verso libero italiano, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 95-171.

[17] E. Sanguineti, Introduzione a Poesia italiana del Novecento, cit., XXXVIII.

[18] G.P. Lucini, Canzone del Giovane Signore, in  Revolverate e Nuove Revolverate, cit., p. 55.

[19] Ivi, p. 47.

[20] G.P. Lucini, Canzone della Cortigianetta, in Revolverate e Nuove Revolverate, cit., p. 38.

[21] E. Sanguineti, Introduzione a G.P. Lucini, Revolverate e Nuove Revolverate, cit., p. VIII.

[22] G.P. Lucini, Canzone della Cortigianetta, in Revolverate e Nuove Revolverate,  cit. p. 41.

[23] Cfr. E. Risso, Per la critica della violenza e dell’uso delle armi: l’Antimilitarismo di G. P. Lucini, in Un Prometeo male incatenato. Gian Pietro Lucini, le opere, le carte, cit., pp. 205-222.

[24] G.P. Lucini, Canzone del Giovane Eroe, in Revolverate e Nuove Revolverate, cit., p. 25.

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