di Paola Arnaldi
Assommano ormai a cinque i romanzi di Salvatore Carachino, autore di origini salentine e veronese di adozione. La sua è una attività tarda e come un completamento della professione di insegnante di lettere nelle scuole superiori. Utile quindi un accenno biografico. Carachino parte da Galatina nel 1963 con una borsa di studio per il Collegio dell’Università Statale di Milano con sede a Sesto San Giovanni. Si lascia alle spalle gli studi liceali di stampo idealistico e una società paesana dominata da una borghesia terriera connivente con il vecchio e pervasivo credo religioso. Porta con sé l’immagine di famigliari e di amici fedeli, nonché il ricordo delle stagioni estive trascorse ad aiutare il padre nel lavoro dei campi. Cinque anni nella città lombarda rappresentano per il giovane la fondamentale rivoluzione di vita. Tutti i temi della futura elaborazione letteraria hanno le origini in questo tempo di studio, di riflessione ed anche della prima passione d’amore. Ascolta Fubini ai corsi di letteratura italiana, Dal Pra a filosofia, Musatti per la psicanalisi; incontra studenti di altre regioni italiane e di paesi stranieri. È il tempo storico dell’osmosi sociale e del movimento studentesco al quale partecipa a margine per il suo carattere schivo e per l’urgenza di laurearsi e di inserirsi nel mondo del lavoro. È il tempo delle prime letture dei classici del socialismo, dei viaggi in treno insieme con operai occupati nelle industrie italiane ed estere, insieme con i proletari delle forze dell’ordine e dei quali parlerà Pasolini. Da insegnante a Verona decide di conseguire anche la laurea in Filosofia. Per lungo tempo chiuso nei ricordi, si risolve ad affrontare nella scrittura temi che hanno avuto un lungo periodo di incubazione. «Resto un professore di scuola» lui afferma. E a scuola ha ragionato di mercato e stato, di guerra e di pace, di oscurantismo e di fede liberatrice, di solitudine e di amore.