Eleonora Mazzoni legge i “Promessi sposi” per la prima volta che non ha nemmeno dodici anni e li rilegge ancora e ancora in diversi momenti della sua formazione. Conosce il professore Ezio Raimondi e, nelle sue lezioni, Manzoni non è più monumento lontano nel tempo ma figura che si muove, lotta, ama, crede, trema e balbetta. Allora Mazzoni legge, incuriosita, le milleottocento lettere (sono sempre gli epistolari a desublimare i grandi nomi, a renderli più vicini all’essere mortali) e si mette in ascolto. Decide di raccontare “vita e capolavoro del rivoluzionario Manzoni”. Alla luce delle lettere, si rende conto di quanto il romanzo sia intriso di sensazioni, sentimenti, memorie che appartengono all’autore: l’assenza di figure genitoriali, per esempio. Giulia Beccaria abbandona il figlio per andare a vivere a Parigi con il suo grande amore, Carlo Imbonati e Alessandro entrerà ed uscirà, per dieci anni, da collegi di preti nei quali sarà relegato al compiere di sei anni. Un padre assente, il conte Pietro Manzoni, come quello di Lucia, inesistente, cresciuta solo dalla madre. Renzo, come i personaggi delle fiabe, è orfano e si salva dai guai come può, come sa, nessuno glielo ha insegnato. Nessuno gli ha insegnato a stare lontano dai prepotenti, dai signorotti che mettono gli occhi sulla sua promessa: don Rodrigo, il cattivo “ambivalente e moderno” che sceglie di non cambiare, passando dalla parte dei personaggi statici, insieme a quel “non era nato con un cuor di leone” di Don Abbondio – crocifisso in una litote indimenticabile. E infatti don Rodrigo, anche dopo aver tremato al suono del “Verrà un giorno….” pronunciato minacciosamente da Fra Cristoforo, si sveglierà “al mattino seguente come il solito don Rodrigo” e così ogni giorno che gli resta da vivere, finché la peste non gli concederà, finalmente, una “dimensione drammatica” (“Stava l’infelice, immoto”, riecheggiante, sostiene Mazzoni, l’”Ei fu. Siccome immobile…” napoleonico). E poi Lucia, personaggio dolce, carismatico e risoluto, che, mentre l’Innominato, in quella famosa notte, è distrutto dall’insonnia data da una solitudine e da un disgusto, può dormire “d’un sonno perfetto e continuo” perché è senza paura. Perché ha il suo Dio. E quella certezza le basta. In Lucia c’è una figura piccola e grande al tempo stesso, dalla “minuta carcassa” ma dallo spirito forte, gracile e malata, “silenziosa e invisibile”, ma “grembo della famiglia”, sostegno imprescindibile: Enrichetta Blondel. Quando Enrichetta e Alessandro si incontrano lei ha sedici anni e lui ventidue. Si innamorano e resteranno insieme fino alla morte di lei, nel 1833. Insieme hanno dieci figli, alcuni vivranno, altri moriranno, altri nasceranno già morti. Alla morte della figlia Clara, Manzoni scriverà: “Bambina mia dolcissima. Tu risorgerai e brillerai come una stella. Ma com’è strano, ora, che tu sia nella pace e noi in guerra”. Pace e guerra. Ma la pace arriverà anche per lui, come era arrivata per Lucia e Renzo, nel tepore di una camera da letto, a riflettere che “i guai vengono bensì spesso…”. Per Alessandro arriverà nel 1873, a ottantotto anni.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 9 giugno 2023]