di Guglielmo Forges Davanzati
Nel 2009 – sotto il Governo Berlusconi II – si riduce, per la prima volta dagli anni Cinquanta, la spesa per la formazione scolastica e universitaria in Italia. La spesa pubblica per l’istruzione cresce, infatti, a partire dal secondo dopoguerra, con forte accelerazione a partire dal 1971. Fra il 1971 e il 1984 passa dal 2.9% del Pil al 4.8%, raggiungendo nel 1984 il valore più alto. Da allora si stabilizza intorno a una percentuale del 4.5% per ridursi, appunto dopo il 2009, al 3.9% del 2019. Non è accettabile la motivazione per la quale si stava riducendo, a cavallo degli anni Dieci, il saldo demografico, dal momento che, in quella fase, Paesi con la nostra stessa struttura della popolazione (in particolare, Germania e Giappone) spendevano più di noi per formazione e istruzione. Sono gli anni, quelli del secondo governo Berlusconi, del tremontiano “con la cultura non si mangia”, della riforma Gelmini e della celebre frase del Cavaliere per la quale “se facciamo le migliori scarpe del mondo, perché pagare gli scienziati?”. La riforma Gelmini produce un sottofinanziamento selettivo delle sedi universitarie, a danno di quasi tutte quelle del Mezzogiorno, introducendo la quota premiale per la loro assegnazione e ponendo gli Atenei in concorrenza fra loro.