In esso in primo luogo furono avanzate delle riserve circa il carattere della scuola elementare e popolare, la cui situazione organizzativa appariva aggravata e compromessa per via della interferenza tra amministrazione regionale, Provveditorato agli studi e Consigli di nomina ministeriale; si lamentava inoltre la soppressione in tutti gli organi amministrativi della rappresentanza elettiva di classe. D’altra parte, la figura giuridica del maestro, poichè a delinearla concorrevano lo Stato ed i Comuni e non aveva rappresentanza, per la legittima difesa dei propri diritti, negli organi amministrativi e disciplinari, continuava a restare mal definita e confusa. Circa i programmi, riserve di principio venivano avanzate in modo particolare per l’insegnamento religioso a proposito del quale testualmente si osservava: 1) che il senso della religiosità non possa inquadrarsi in particolari esercizi ed in determinate ore di insegnamento; 2) che sia da rivolgersi al fine educativo quanto di alto, di buono, di umano, di morale contiene il cristianesimo, ma che sia da non accogliere l’insegnamento catechistico e dogmatico che costituisce una aperta violazione della libertà dell’educando e dell’educatore. Si esprime comunque il voto che la idoneità ad impartire l’insegnamento religioso non venga subordinato all’approvazione dell’autorità ecclesiastica. Trattandosi di un caso di coscienza, dovrebbero essere i maestri a dichiarare apertamente la propria idoneità o meno. Si trova un contrasto tra la concessione che si fa al maestro che si riconosca idoneo all’ insegnamento religioso e all’ esercizio quotidiano delle pratiche religiose contemplato nei programmi”. (“Il Pensiero” del 16 febbraio e 16 marzo 1924)
Nella difesa oltranzista della libertà dell’insegnamento e nella tutela della libertà del maestro, presidio pedagogico a cui “Il Pensiero” si è sempre ispirato sin dalla sua fondazione, sta forse la ragione prima della rottura dell’Unione con Gentile.
La libertà d’insegnamento si configura per il Gentile come affermazione di un ruolo forte ed esemplare dello Stato nel campo educativo in un regime di libera concorrenza con i privati, ma per quanto riguarda l’educazione religiosa Gentile, che sin dal 1907 aveva sostenuto “doversi dare ai fanciulli una religione, e quella cattolica, visto che essi non possono avere una visione razionale della vita”, con la sua riforma scolastica del 1923, che colloca l’insegnamento della religione nei programmi della scuola elementare, insegnamento esteso nel 1929 alla istruzione media, viene configurando una tendenza pedagogica confessionale che concepisce la religione come fondamento e corononamento dell’istruzione, in contrasto con la tendenza laica de “Il Pensiero” che propone una scuola pubblica, di tutti, dove il fondamentale principio pedagogico deve significare ed operare come convivenza di diversi, e cioè scuola aperta al dialogo e, per quanto riguarda l’educazione religiosa, essa deve essere fondata sulla libertà dei padri di proporre e non di imporre la propria fede, e sulla libertà dei figli di maturare autonomamente e responsabilmente le proprie convinzioni. Che i fanciulli non abbiano una visione razionale della vita è una verità, ma non è una ragione sufficiente perché, al fine di mantenere nella scuola elementare l’insegnamento religioso, si fornisca ai ragazzi una visione irrazionale quale sarebbe una rudimentale mitologia, intesa come philosophia minor che non distingue tra sapere razionale e sapere non razionale. L’attualismo, per cui ogni atto spirituale è atto di tutto lo spirito, segna un recupero della trascendenza religiosa proprio sul principio del continuo trascendimento dell’atto rispetto al fatto. Se si considera la religione l’oggetto come persistente per se stesso e contemporaneamente l’atto, cioè l’io, come momento che fonda ogni ordine di oggettività, si incorre in una aporìa speculativa.
Questa aporìa gentiliana si rispecchia naturalmente nel campo della pedagogia ed è ben rilevata da “Il Pensiero” che postula nella prassi pedagogica la necessità della didattica, se non intesa come insieme di regole fisse ed applicazione di dottrine filosofiche, laddove invece Gentile, in omaggio al principio dell’unità nel soggetto trascendentale di maestro e discepolo, teorizza il concetto di autoeducazione, rispetto alla quale tutte le forme di etero-educazione hanno valore soltanto secondario.
Ne “Il Pensiero” si leggono due scritti a firma Conte De Taormina che discutono il ruolo, nel processo educativo, rispettivamente della storia e del disegno. Non vi si indicano regole ma, in contraddizione con i postulati della didassi gentiliana, si teorizza la dottrina secondo la quale il materiale didattico, cioè il frutto del pensiero precedente, non deve essere tenuto in conto come fine a se stesso, perché in questo caso sopravvivrebbe in modo astratto ed inerte senza riattivare il processo spirituale che è il momento centrale della cultura pedagogica. In fondo questa didattica traspare dagli scritti pubblicati ne “Il Pensiero” dagli insegnanti del circolo scolastico di Galatina e del Salento, quasi tutti educatisi sui manuali e sui testi di Giuseppe Lombardo Radice; e sono scritti che non hanno assolutamente ceduto di fronte alla coscienza del problema spirituale come è stato posto dalla filosofia di Giovanni Gentile.
6. Il processo di fascistizzazione
Intanto nel rimpasto ministeriale del 30 giugno 1924 Gentile, di cui si deplorava il metodo applicativo, cioè non gradualistico della riforma, viene sostituito dal senatore Alessandro Casati, pronipote di Gabrio Casati che nel 1859 aveva dato all’Italia la prima organica legge scolastica nazionale. Insieme con l’elzevirista Tommaso Gallarati-Scotti e lo scrittore Antonio Fogazzaro, Casati aveva collaborato alla rivista “Il Rinnovamento” che propugnava il modernismo, cioè il tentativo di portare il cattolicesimo al passo coi tempi, conciliandolo con la scienza ed il pensiero moderno, un’indicazione critica contro la quale proprio Gentile aveva preso posizione con lo scritto Il modernismo ed i rapporti tra religione e filosofia. Alessandro Casati resterà in carica fino all’ottobre del 1924, allorché nel Congresso di Livorno del Partito liberale italiano la maggioranza dei delegati espresse il suo dissenso dalla politica di Mussolini ed invitò i ministri liberali Casati e Sarocchi a dimettersi. Le ragioni invece della breve esperienza di Giovanni Gentile al ministero della pubblica istruzione sono più complesse e significative, nonostante che egli sia stato autore della riforma la quale, tuttavia, fu in seguito corretta dal fascismo.
“Il Pensiero” del 9 luglio 1924 parla di “allontanamento” dell’on. Gentile e dell’on. Dario Lupi dalla Minerva, e la parola, lungi dall’essere un modo di dire corrente, è la spia di una felpata questione politica e soprattutto culturale. La riforma Gentile ha difatti costituito un riordinamento organico ed unitario della scuola italiana, ma fu anche un modo in cui un certo risultato della cultura idealistica passò a determinare il fondamento almeno della formazione della scuola classica e delle facoltà umanistiche delle università in Italia.
“Il Pensiero” intanto continua a battersi per il miglioramento delle condizioni degli insegnanti attraverso il problema del Monte pensioni e per un più efficace assetto nel funzionamento operativo della scuola popolare, attraverso un maggiore impulso all’edilizia scolastica, ma non trascura di registrare qua e là note di cronaca che documentano la storia del fascismo nel suo primo divenire nazionale, ma anche municipale. Alludiamo alla Legge n. 2029 del 26 novembre 1925 sulle società segrete, legge che imponeva ai funzionari pubblici di dichiarare, su richiesta, se appartenevano o meno alle suddette società. A Galatina nell’autunno del 1926 l’autorità provvide alla chiusura del Circolo cittadino, sospettato di ospitare, come socio, qualche rappresentante di una setta coperta, “restaurando la tranquillità in molti spiriti inquieti”, come con malcelata ironia si legge sul periodico di De Marianis. In realtà la Legge n. 2029 copriva col pretesto antimassonico la perasecuzione contro la sinistra e la sua applicazione a Galatina si spiega con la cospirazione clandestina dell’avvocato Carlo Mauro.
Ed un’altra nota ancora sanciva l’obbligo del saluto romano fascista tra inferiori e superiori per disposizione del Presidente del Consiglio in data 1 dicembre 1925. Sono i primi mezzi repressivi, e si badi alla loro progressività, posti in atto dal fascismo fino a quando, per l’integrale fascistizzazione della scuola, si introdusse l’obbligo dell’iscrizione al partito per adire ai concorsi pubblici. Da quel momento, per chi intendeva dedicarsi alla carriera dell’insegnamento, tutti i relativi concorsi implicarono una resa al fascismo senza condizioni.
Invero il settore che meno cedette al regime fu quello della scuola secondaria. I maestri, invece, ed insieme con essi particolarmente gli insegnanti di ginnastica della GIL (Gioventù italiana del littorio), erano molto più vigilabili e controllabili, perché dovevano prestare la loro opera anche nelle istituzioni fasciste prescolastiche dell’Opera nazionale Balilla. Perciò la scuola elementare e popolare si trovò più facilmente repressa e denunciata che non la scuola media.
Intanto il 23 luglio 1925, promosso dalla federazione sindacale fascista di Lecce, si era svolto in quella città il Congresso della Corporazione della scuola, sezione magistrale. Tra i rappresentanti della stampa troviamo anche il fondatore e direttore de “Il Pensiero”, e tra i firmatari dell’ordine del giorno sul tema della riforma del Monte pensioni e della disoccupazione magistrale, gli insegnanti Eugenio Ratiglia e Fedele Salacino del Consiglio scolastico di Galatina. Telegrammi a Mussolini ed al Ministro della P.I. conclusero il Congresso, ma più significativo di tutti quello, che qui si trascrive, all’On. Achille Starace: “Maestri provincia Lecce riuniti imponente Congresso inviano Duce Fascismo Salentino possente alalà”. “Il Pensiero” del 7 agosto 1925.
In questo modo ha avuto inizio nel Salento il processo di fascistizzazione della scuola elementare. In particolare a Galatina esso è poi continuato con la costituzione il 22 ottobre 1925 del sindacato fascista al quale aderiscono il prof. Antonio Martines, Preside della scuola complementare, ed il prof. Giacomo Candido, Preside del Regio Liceo Ginnasio “Pietro Colonna”. E questa fase si conclude con l’elezione all’unanimità di Pietro De Marianis a Segretario politico del sindacato.
Sul piano nazionale intanto, secondo le cronache riprodotte ne “Il Pensiero”, il processo di fascistizzazione è contrassegnato dal primo Congresso nazionale delle Corporazioni della scuola che si celebra all’Augusteo di Roma il 5 dicembre 1925 con un discorso di Mussolini preceduto da quello dell’ on. Roberto Farinacci, nominato segretario del PNF il 12 febbraio di quell’anno, e concluso dal comm. Acuzio Sacconi, Presidente generale della Corporazione della scuola.
Chi legga i tre interventi secondo il resoconto de “Il Pensiero” del 18 dicembre 1925, vi rinviene un’abile regìa che testimonia la caratteristica del fascismo sempre incline alla teatralizzazione della vita politica…(…)… Il governo esige che tutta la scuola, in tutti i suoi gradi, in tutti i suoi insegnamenti, educhi la gioventù italiana a comprendere il Fascismo, a rinnavarsi nel Fascismo, a vivere nel clima storico creato dalla rivoluzione fascista…. Queste parole di Mussolini rispetto agli interventi di Farinacci e di Sacconi, hanno la funzione di mediare, più che di moderare, l’estremismo di questi: …(…)…saranno bene accolti tutti coloro che si sono comportati bene in quel periodo di tempo che va dal 10 luglio 1924 fino al famoso 3 gennaio; tutti gli altri, che rimasero sospesi fra i “se” ed i “ma”, saranno invece strettamente sorvegliati né potranno aspirare ad un posto di dirigenti. Il partito anziché temperare la propria intransigenza, la accentuerà ancor più. Sono adombrate nelle espressioni di Farinacci allusioni minacciose, preludio a quelle persecutorie di Sacconi: …(…)… Ma procederò con mano ferma alla revisione dello stato di servizio di ciascuno e l’epurazione sarà radicale. Gli indegni, coloro che ci negarono il consenso, dovranno andare a casa. Tra i funzionari della Minerva l’infezione massonica è allo stato più nauseante: opererò chirurgicamente. Un terzo degli attuali Provveditori dovrà essere cacciato via…(…)…
Non sfugga al lettore che la data del 10 giugno 1924, richiamata da Farinacci, si riferisce al rapimento del deputato socialista Giacomo Matteotti che nel suo ultimo discorso alla Camera aveva denunciato le violenze fasciste durante la campagna per le precedenti elezioni, mentre la data del 3 gennaio 1925 allude al discorso con cui Mussolini, facendo seguito ai decreti dell’8 e del 10 luglio 1924, limitativi della libertà di stampa, decretava la morte di essa.
Ed intanto che “Il Pensiero” registra il consolidamento del fascismo su tutto il territorio nazionale, procede di pari passo lo smontaggio dell’organizzazione democratica. E nella scuola popolare esso viene attuato il 3 dicembre 1925 allorché la commissione straordinaria dell’Unione magistrale nazionale, riunitasi a Bologna, delibera lo scioglimento dell’organizzazione. Da quel momento ne “Il Pensiero” si legge come un ripiegamento sulla storia contemporanea, particolarmente di Galatina, quasi un ripensamento riduttivo di essa che, lungi dal voler essere suggerito da orgoglio localistico o municipalistico, è invece un riflesso della mutata realtà storica nazionale. Ecco il periodico del 2 aprile 1926 dedicato alla illustrazione della Casa di cura del dottor Carmine D’Amico, una istituzione d’avanguardia per quei tempi dal punto di vista scientifico per riconoscimento dei pionieri della scienza medica salentina come i dottori Villani, Vernazza, Paoletti e Pennetta, ma soprattutto benemerita per la filantropica disponibilità umana verso la collettività. E sull’onda di valori che sono stati costruiti con fede e rimangono, ed i superstiti catturano con la forza del sentimento più che della mente, e portano con sé, e vogliono proiettare nel futuro, ecco ancora nel numero del 5 febbraio 1926, ad opera del Prof. Pantaleo Duma, di Eugenio Ratiglia e di Fedele Salacino, la commemorazione dell’on. ingegner prof. Antonio Vallone ad un anno dalla morte. La ispira la legge del progresso sociale perché dell’uomo si ricordano, oltre agli incarichi parlamentari, il trentennale insegnamento nell’Istituto tecnico di Lecce, il miglioramento del nostro Ginnasio, la fondazione e la regificazione del Liceo classico “Pietro Colonna”, il riordinamento e la parificazione della Scuola tecnica trasformata in Scuola complementare, dove Vallone stesso assunse per qualche anno, e gratuitamente, l’insegnamento della matematica; e prima ancora la fondazione nel 1879 della Scuola serale di disegno, plastica ed intaglio in pietra ed in legno, divenuta poi la Regia scuola popolare operaia per Arti e Mestieri di cui fu presidente fino alla morte, e poi il ruolo di socio fondatore e membro del Consiglio direttivo e rappresentante dell’Associazione Magistrale del Circondario di Lecce ai Congressi nazionali e la nomina per la Puglia a fiduciario dell’ on. Ubaldo Comandini, ministro delle Opere di Assistenza nazionale durante la prima guerra mondiale, la carica di Ispettore onorario ai monumenti e scavi per i mandamenti di Galatina ed infine l’opera attiva in qualità di componente il Consiglio di Amministrazione del Consorzio per l’Acquedotto pugliese e della Commissione provinciale censuaria.
7. Cronoca e valori
Col numero dell’ 11 giugno del 1926 “Il Pensiero” cattura il tempo delle onoranze a Gioacchino Toma. Vi si legge la cronaca dello scoprimento il 31 maggio di quell’ anno di una lapide, dettata da Fausto Salvatori ed offerta in uno slancio di commosso e riverente ricordo dagli artisti napoletani e romani, e murata nella casa di piazza Raimondello Orsini, dove il pittore nacque il 24 gennaio 1836. Alla presenza dell’Alto Commissario della città di Napoli, del Presidente dell’Accademia meridionale di Belle Arti, Lettere ed Archeologia, del prof. Salerno, ispettore dei monumenti, del figlio di Toma, architetto Gustavo, della deputazione politica e provinciale e di un’immensa folla, tiene l’orazione ufficiale il prof. Francesco Sapori, del Ministero della Pubblica Istruzione. Merita di essere conosciuto il concetto centrale di essa: …(…)… Il 1848 segnò il risveglio della patria italiana. Le arti comprendono e completano l’opera delle armi e della politica. Vari gruppi – la Scuola di Posillipo a Napoli, la Scuola “In Arte Libertas” a Roma, i Macchiaioli a Firenze, gli Scapigliati e poi i Divisionisti a Milano – affermarono la crescente indipendenza e vitalità dell’arte italiana. Ma vi furono anche delle figure isolate di artisti grandi: Antonio Fontanesi, che espresse la poesia della natura; Giovanni Segantini, che cantò la elevazione ideale della natura; Luigi Serra che attraverso il disegno precisò la coscienza delle nuove arti plastiche in Italia. E Gioacchino Toma? La sua personalità è inclassificabile. La sua umanità schietta rifugge dal realismo come dal romanticismo. Egli fu un solitario autoctono; rimase pugliese …(…)… In questa cornice di sole celebreremo il pittore dell’ombra e del silenzio …(…)…
E nel numero dell’11 dicembre 1926 un altro galatinese che si fa onore viene ricordato: Gaetano Martines di cui quattro grandi statue, scolpite in travertino, sono collocate sul monumentale palazzo dell’Istituto delle Assicurazioni che in quei giorni si stava costruendo in Roma.
Intanto dall’ottobre 1926 “Il Pensiero” si trasforma in settimanale e viene pubblicato ogni sabato. Ad una prima lettura si ha l’impressione che il dibattito sui temi scolastici, e dal punto di vista pedagogico-didattico e da quello salariale e sindacale, si infievolisca, per fare spazio alla cronaca ed alla informazione di regime. Si registrano infatti la Rassegna politica settimanale e corrispondenze salentine di assemblee, inaugurazioni, adunate, fogli d’ordine che si svolgono in ambito municipale, ma anche scolastico.
Una lettura più perspicace, tuttavia, che indugi in particolare sulla cronaca cittadina, non soltanto scolora nella vita sonnolenta e pigra, ma qualche volta ammiccante della provincia, l’esaltazione e l’enfasi della propaganda di regime, ma svela, nella molteplicità degli eventi, la persistenza di valori umani positivi messi in evidenza dalla redazione. L’annunzio di cerimonie nuziali, per esempio, oppure di fidanzamento o di nascite, nonché i necrologi, per il modo in cui sono redatti, attento a cogliere la nota di gioia o di dolore propria dell’evento, esula dall’ordinaria formula cronachistica e diviene, per così dire, un momento di vita comunitaria che ci fa sentire che la famiglia, così come noi la creiamo, non è soltanto una costruzione sociale, ma è anche un’altissima realtà spirituale, è veramente la base di tutta la vita nel suo eterno rinnovarsi.
E nella cronaca si immerge la varietà della vita urbana ed il fervore della operosità umana lungo le stagioni, ma anche la scaltrezza e l’arguzia dell’indole individuale.
Per la sarchiatura di semensabili, cioè delle aree destinate alla seminagione, il contadino di Galatina percepiva nel 1926 un salario di sei lire per sei ore lavorative e per la vendemmia il salario era di lire sei per le donne e ragazzi fino a quindici anni, di lire otto per gli adulti, di lire 13 per i cofinatori, con l’aumento del 20% per le ore straordinarie; per la pigiatura dell’uva invece il salario per otto ore lavorative era di lire 14,50 (quattordiciecinquanta), per la rimonda degli ulivi di lire 10 (dieci) per sei ore di lavoro e per l’irrorazione era di lire 8 (otto) ai trasportatori di acqua e lire 13 (tredici) per gli irroratori, ed infine si percepivano per sei ore di lavoro lire 14 (quattordici) per la mietitura.
La circolazione urbana non era esente da inconvenienti ed i vigili urbani comminavano multe per getto di acqua sporca ovvero per vendita di formaggi con carta pesante e, più in particolare, per l’eccessiva velocità con l’automobile a Francesco Candido, per carne appesa fuori dallo spaccio a Giuseppe Spagna, a Pietro Papadia ed a Marco Giorgetti, per transito sulla piattaforma con un asino a Pantaleo Palumbo di Collepasso ed altrettanto, ma col cavallo, per Bartolo Renna ed inoltre a Pietro Manna, esercente, perché vendeva il pane non al prezzo del calmiere, a Cesario Duma, esercente, perché non metteva i cartellini del prezzo sui generi di vendita, ed a Tundo Salvatore perché vendeva il miele a lire 15 mentre il calmiere è di lire 11. ( “Il Pensiero” del 27 novembre e 24 dicembre 1926)
Il periodico continua ad essere come un’antenna che capta in forme diverse ed a diversi livelli le pulsazioni, le vibrazioni e le oscillazioni, come in un microcosmo della vita cittadina, e ciò accade perché tra di esso e la comunità si è instaurato uno scambio di rapporti che al periodico medesimo ha dato peso e dignità tale da farlo interagire con le istituzioni e produrre nuovo materiale di opinione. Scorrono nelle cronache de “Il Pensiero” sulle ali dell’orgoglio cittadino le vittorie per distacco, nelle gare ciclistiche del Salento e di Puglia, di Pippi Albanese che a Galatina rende il ciclismo, prima del calcio, lo sport più popolare, in sintonia con l’uguale fenomeno in tutta l’Italia al tempo di Girardengo, Binda e Guerra; e poi le rappresentazioni drammaturgiche nella sala Lillo organizzate dal primo impresario teatrale, prim’ancora di Giovanni Tartaro, signor Giuseppe Capano fu Eugenio, e le festose galanti serate al Circolo Savoia, come venne chiamato il Circolo cittadino alla sua riapertura dopo il 1926. Non va taciuto tra le prerogative del periodico di De Marianis l’uso moderno, e si direbbe avveniristico, della pubblicità, in particolare della produzione imprenditoriale ed artigianale, nonché commerciale, dei Galatinesi: dal laboratorio di riparazioni automobilistiche e lavorazione del ferro di Pietro De Riccardis e figli, al commercio di tessuti, lanerie, seterie e drapperie di Sebastiano Scalzo e figli, fino alla fabbricazione artigiana su ricetta tramandata di generazione in generazione da padre in figlio dell’elisir di china di Cesario Duma. Ma una pubblicità, presente in ogni numero del periodico, veniva certamente, io ne sono convinto, ospitata gratuitamente da De Marianis: quella a favore del Convitto “Pietro Colonna”, a testimonianza di una delle risorse più profonde dell’ uomo, l’amore della cultura.
Il Convitto nei primi decenni di questo secolo ha rappresentato senza dubbio l’istituzione di maggior prestigio della nostra città. Fondato nel 1854 dai padri Scolopi, fu diretto con rara competenza nel periodo di suo maggiore splendore nei primi tre decenni del secolo dal prof. Ippolito De Maria, che seppe conciliare con dignitoso equilibrio lo spirito confessionale della origine ottocentesca dell’istituzione, con gli aspetti essenziali della vita moderna, ma sempre ispirandosi nella sua educazione e guida educativa dei giovani che vi affluivano da tutto il Salento, al pensiero manzoniano …(…)… che la vita non è già destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego …(…)…( I Promessi Sposi, cap. XXII), principio che, se in non pochi correggeva l’essere umano difettivo, calandolo in uno stampo prestabilito e trasformandolo in un docile strumento spirituale, in ognuno invero modellava, od almeno questa era l’intenzione, la coscienza di galantuomo, senza però mai ingenerare la presunzione che soltanto esser cristiano sia sinonimo di essere uomo.
E quando ne “Il Pensiero” si registra la laurea di un giovane, specialmente se concittadino, la notizia non è mai fine a se stessa né il segno del distacco dalla comunione indistinta con gli altri, che ci è imposta dalla vita che facciamo giorno per giorno, ma per il modo come viene formulata vuole essere, se mai, la segnalazione di un giovane che si caratterizza per le esigenze che si impone e non per i diritti che si arroga.
Ed intanto che nella vita nazionale affonda le sue radici il fascismo, anche a Galatina e nel Salento si consolidano le posizioni del regime, testimoniate dall’avvicendamento degli uomini nelle istituzioni. Nella presidenza del Ginnasio-Liceo al prof. Candido succede il prof. Oronzo di Candia, al Circolo Scolastico la direzione passa dal prof. Carmelo Campa al prof. Michele Montinari, al Comune dopo il sindacato del dott. Vito Vallone ed il commissariato del cav. Giacomo Palmisani, soppressa la libertà democratica municipale, si insedia il primo podestà fascista, l’avv. Domenico Galluccio, e da quel momento l’attività amministrativa del Comune è speculare a quella della classe politica e, per essa, della segreteria del partito incarnata dal prof. Gennaro Diso cui, a breve scadenza, succede l’ing. Ruggero Congedo, mentre al primo segretario federale di Lecce avv. Giuseppe Leopizzi subentra il cav. dott. Aldo Palmentola.
“Il Pensiero” nel suo ultimo anno di vita, il 1927, dinanzi a questa girandola di modificazioni inedite della vita sociale, ci appare come estenuato nella volontà attiva e nella serietà costruttiva della sua redazione, e ripiega su uomini e cose del passato, commemorando il centenario della nascita di Francesco Crispi e quello della morte di Ugo Foscolo ed ospitando documenti poetici che contemperano il clima erotico, trattato edonisticamente, come per andare controcorrente, e certi toni di poesia estenuata che sembrano precorrere al crepuscolarismo. Ne registriamo uno specimen per il lettore, di autore anonimo, avvertendo che non vi mancano forzature metrico-stilistiche:
Un sonetto di I. F.M.
Io, signora non so quale malia
oggi sia effusa nella pallidezza
del viso tuo che assembra la purezza
di un sogno dolce di malinconia.
Una nota lievissima carezza
l’anima nostra e pare che via via
la nota insinuandosi una pia
svegli soavità di fanciullezza.
I fiori dalle mani esigue piano
cadono sfatti al suolo tristamente
e dicono che vieni di lontano
lontano assai… Da magici castelli
Forse? e così tenerissima e splendente
Da un dipinto di Sandro Botticelli?
Quando “Il Pensiero” è stato fondato, la reazione antipositivistica faceva da sfondo in Europa ed in Italia a tutta una serie di movimenti, di tendenze ed anche di mode di tipo irrazionalistico e pragmatista. La prerogativa maggiore del periodico sta, secondo noi, nell’aver aiutato i suoi lettori a leggere i fatti della vita in base alla razionalità illuministica. Quei fogli circolavano nel nostro Salento nella sfera dei pionieri dell’insegnamento elementare rendendoli capaci di diventare una forza storica progressista, operante nei ceti borghesi, cosciente di dare voce e respiro a diritti ed interessi conculcati dalle forze conservatrici. La scuola era allora la speranza che scendeva nella storia.
In una città come Galatina in quegli anni si marcava un netto divario tra cultura alta e bassa. E un’altra forma di sapere, il melodramma, era per esempio la cultura media della classe dirigente. Per il resto, come in tutto il Sud, imperava impietoso l’analfabetismo. Il nostro passato è fatto di queste tremende contraddizioni, presenti anche nel resto d’Italia; nonostante che Cavour ed i gruppi risorgimentale più dinamici e progressivi abbiano in una certa misura emarginato ed accantonato correnti e tendenze retrive, nazionalistiche e conservatrici in senso aggressivo, queste sono state sempre attive nell’Italia postunitaria ed al momento del suo consolidamento il fascismo ridiede ad esse spazio e sviluppo.
Il fascismo non ha avuto un’ideologia in quanto la sovrastruttura di esso è stata volta per volta improvvisata sotto la spinta dell’azione (il fascismo come parentesi della storia italiana, secondo Croce, come rivelazione, secondo Giustino Fortunato, come biografia della nazione, secondo Piero Gobetti). Per questa ragione la partecipazione ed il ruolo degli intellettuali, durante il regime, appartiene alla storia del carattere, cioè ad una storia morale. Per quanto riguarda il personale insegnante, bisogna dire che esso ha fornito al regime una fascistizzazione episodica della scuola, almeno fino al momento in cui fu introdotto l’obbligo della iscrizione al partito. Dopo che la norma fu generalizzata, ad essa sottostettero quelli che vi aderirono realmente, quelli che vi si piegarono al fine di proteggere la propria tranquiullità, e quelli che eseguirono la norma come una formalità e non ne tennero nessun conto.
Pietro De Marianis ha rappresentato uno dei personaggi che nascono nel momento della transizione dal vecchio al nuovo secolo e, una volta che il fascismo ha conquistato il potere, egli ha continuato a rappresentare a Galatina, nella provincia e nel Salento l’emblema della pedagogia popolare, il personaggio nuovo che ha tentato un’opera di sollecitazione pedagogica, volta a stimolare la crescita di una coscienza dirigente da parte della classe colta, considerata nella sua fase di apprendistato e di formazione. Fedele al pensiero laico italiano, che ha sempre messo lo Stato al di sopra della religione, attraverso i fogli del suo periodico è divenuto esperto e scienziato dell’organizzazione educativa per scelta di impegno civile e per intenzione pedagogica e con costante sforzo di aggregazione ha portato l’esigenza educativa alla comprensione ed alla coscienza sociale, stanando, per così dire, dall’immobilismo e dall’inerzia il mondo politico, per indurlo a passare dalla diagnosi delle carenze alla terapia delle soluzioni fino alla vitalizzazione delle istituzioni scolastiche. Ha innalzato ad una sfera spirituale più alta il popolo, almeno educandolo a superare gli elementi di plebeismo propri dell’ambiente di provenienza. Non ebbe finanziatori per il suo giornale ed alle spese di esso provvide con la pubblicità, con una larghissima rete di fedelissimi abbonati sparsi in tutto il Salento e con esigui proventi di una iniziativa commerciale attraverso la quale forniva stampati e articoli di cancelleria ad uffici amministrativi e scolastici e per questo fine egli inseriva costantemente nel periodico la relativa pubblicità.
Per tutte queste ragioni ci sembra giusto che il suo nome resti nella storia di Galatina.
[Memorie di Galatina. Mezzosecolo di storia meridionalistica e d’Italia, Mario Congedo Editore, Galatina 1998, pp. 149-160]