di Antonio Devicienti
Non ho mai incontrato Totò Toma, anche se spesso passavo davanti al negozio dei suoi genitori perché a metà di Via Trento e Trieste esso era in posizione centralissima a Maglie.
Ricordo ancora distintamente che fu il mio professore di greco e di latino, Claudio Micolano, a parlarne un giorno in classe e fu quella la prima volta in cui scopersi la poesia che si scriveva negli stessi miei giorni e che, improvvisamente, ebbe ai miei occhi la medesima bellezza di quella che leggevo nei libri del Liceo.
Non mi venne in mente di andare a cercare il poeta, i successivi anni universitari mi condussero altrove e fu soltanto con la pubblicazione del Canzoniere della morte che reincontrai i versi del poeta di Maglie.
Lo smilzo volume bianco mi è qui accanto, il bestiario salentino del XX secolo (una delle parti del libro) continua ad affascinarmi senza sosta facendomi pensare ai muretti a secco semidiroccati dove trovano rifugio le civette e alle torri costiere dove nidificano i falchi lanari; gli innocenti animali di Toma abitano una Terra d’Otranto d’impareggiabile sapienza.