Gli altri saggi servono invece a ricostruire l’impegno profuso da poeti, scrittori e critici tra i quali Girolamo Comi, Vittorio Pagano e Oreste Macrì nello studio e nella traduzione di poeti francesi, antichi e moderni nonché le caratteristiche e i protagonisti principali della stagione d’oro della cultura leccese negli anni Cinquanta e Sessanta, segnati dalla straordinaria figura di Vittorio Bodini e dalla presenza di riviste come “L’Albero” dello stesso Comi, “Il Campo” di Francesco Lala e soprattutto “L’esperienza poetica” affidata da Bodini all’editore barese Cressati. Un trimestrale di “poesia e di critica” pubblicato solo tra il 1954 e il 1956, che si proponeva di superare modernamente i limiti del postermetismo e del neorealismo marxista e al quale collaborarono tra gli altri Volponi, Pasolini, Zanzotto, Scotellaro, Caproni, Sinisgalli e Carrieri. E non mancano riflessioni e considerazioni sul “primo tempo” delle liriche di Cristanziano Serricchio, sulla diffusione della poesia visiva in Puglia tra gli anni Sessanta e Settanta e su due “maestri” dell’italianistica e dell’ateneo salentino come Mario Marti e Donato Valli che attraverso importanti collane editoriali e preziosi studi monografici si sono occupati con rigoroso metodo storico-filologico di autori e testi della letteratura regionale e nazionale compresi fra Rinascimento ed età contemporanea.
Chiude efficacemente il volume un saggio sulle interpretazioni letterarie del barocco leccese ovvero sulle testimonianze di scrittori e viaggiatori italiani e stranieri di fronte ad un fenomeno artistico-architettonico che solo con l’avvento del Novecento incominciò a suscitare l’interesse e l’ammirazione di colti e curiosi flâneurs in cerca di bellezza: a partire dal francese Paul Bourget (1891) il quale fu tra i primi ad ammettere che se i termini barocco e rococò erano abitualmente considerati sinonimi di “cattivo gusto”, a Lecce diventavano invece sinonimi di “fantasia leggera, d’eleganza folle e di grazia felice”. E poi nelle ultime pagine le impressioni di Guido Piovene, estasiato di fronte al colore e alla tenerezza della pietra locale e allo splendore della basilica di S. Croce e della chiesa di S. Nicolò e Cataldo, di Cesare Brandi colpito dalla Piazza del duomo, “una meraviglia da celebrare fra le meraviglie italiane”, e infine di Vittorio Bodini che – sottolinea l’autore – vide nella città di Lecce una vera e propria condizione dell’anima più che una realtà geografica e nel suo barocco il disperato, straordinario tentativo di riempire l’orrore del vuoto con l’ostentazione decorativa, con i merletti dorati di un “carnevale di pietra” illuminato dal chiarore del cielo: “Un frenetico gioco /dell’anima che ha paura / del tempo / moltiplica figure, / si difende / da un cielo troppo chiaro. // Un’aria d’oro / mite e senza fretta / s’intrattiene in quel regno / d’ingranaggi inservibili fra cui / il seme della noia / schiude i suoi fiori arcignamente arguti / e come per scommessa / un carnevale di pietra / simula in mille guise l’infinito”.
[In “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 16 aprile 2021]