di Gianluca Virgilio
Stando all’etimologia della parola, la democrazia dovrebbe essere la miglior forma di governo perché assegna il potere (κράτος) al popolo (δῆμος), dunque a tutti i cittadini di uno Stato. Nel migliore dei mondi possibili un’equa distribuzione del potere e della ricchezza darebbe un ottimo risultato; ma noi non viviamo nel migliore dei mondi, bensì in un mondo dove la lotta per il potere è incessante e il popolo non è un monolite in grado di esprimere compiutamente la propria sovranità, spesso condizionata da forze esterne. Una buona metà del nostro popolo ha gettato la spugna, poiché ha capito che questa lotta riguarda la cosiddetta classe dirigente, divisa al suo interno dall’interesse immediato relativo all’occupazione dei posti di potere, a cui può ambire a condizione di accettare l’inconfessabile, ovvero che i destini della politica siano decisi altrove, non certo nel segreto dell’urna. Pertanto, una buona parte del popolo non sta più al gioco: ha deciso di non fare nulla, riducendo la sua vita al privato, oppure sta a guardare e preferisce esprimere il suo dissenso, in maniera più o meno composta, attraverso i social; c’è anche chi, in talune occasioni muta il dissenso in rabbia e desiderio di distruzione. Questa metà del popolo non va a votare e non ha rappresentanza parlamentare, sicché non rimane che constatare che la nostra è in realtà una democrazia dimidiata. Se poi a questo si aggiunge che nelle sue scelte fondamentali la nostra democrazia è soggetta da una parte alle istituzioni dell’UE, che ne limitano fortemente l’autonomia, e dall’altra, soprattutto per le scelte di politica internazionale, agli Stati Uniti, allora si capirà meglio il suo stato reale, almeno per come è percepito da molti cittadini. Democrazia è ormai più una bella parola antica che una concreta realizzazione politica secondo quando espresso nella nostra Costituzione.