di Antonio Errico
Sebastiao Salgado è il più importante fotografo vivente. Qualche settimana fa, alla fine di un’intervista concessa a Aldo Cazzullo per il “Corriere della sera”, ha detto che la Terra è stanca di noi, che ha attivato meccanismi di difesa per sbarazzarmi dell’uomo. La gente non sa più produrre né coltivare. Il sistema è fragile. Una crisi potrebbe essere fatale. Così ha detto.
Non sarà l’uomo, dunque, a distruggere il pianeta; prima che l’uomo riesca a compiere l’impresa, sarà il pianeta a distruggere l’uomo. Per un istinto di sopravvivenza che forse gli appartiene mentre l’uomo sta ignorando il proprio: sembra che sopravvivere non gli interessi.
Dicono alcuni rapporti autorevoli che per cercare di mettere riparo abbiamo il tempo di pochi decenni, che in faccende di questo genere corrispondono agli istanti. Dopo di che da queste parti diventerà una pietraia sterminata.
Se degli uomini di scienza ci fidiamo, allora dobbiamo stare attenti: davvero molto attenti. Potremmo arrivare a un punto tale da non avere più la possibilità di dire che qualcuno usa toni da catastrofe.
Si deve dare retta alle parole degli scienziati, ai loro severi ammonimenti, alle imploranti esortazioni, perché non si giunga all’irreparabile, all’assolutezza della distruzione. Perché si recuperi una coscienza del tempo, della terra, un sentimento del proprio essere in un tempo e in un luogo, fabbricanti di un progresso, di una civiltà, di uno sviluppo senza maschere, trucchi, menzogne.