Di mestiere faccio il linguista 8. La lingua del Covid

La resa grafica del neologismo si presenta in forma variabile nelle diverse fonti. In tutte lettere maiuscole (COVID), con alternanza di maiuscole e minuscole, riproducendo le iniziali delle parole componenti (CoViD), in tutte lettere minuscole (covid), con la sola iniziale maiuscola (Covid). Generata nel modo che abbiamo visto, nelle prima fasi di vita la parola risulta accordata sia al femminile (la Covid, con probabile richiamo di pandemia, malattia, ecc.) sia al maschile (il Covid, con probabile richiamo a virus). L’incertezza non riguarda solo la lingua comune. L’oscillazione si avverte nelle sedi istituzionali, anche a livelli elevati (che, per lo meno in teoria, dovrebbero comunicare tra loro e offrire indicazioni convergenti). Nel sito del Ministero della Salute si poteva leggere: «Cosa è la COVID-19?», con accordo al femminile; in un decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri si trovava invece, ripetutamente, l’accordo al maschile: «Misure per evitare la diffusione del COVID-19», «soggetti risultati positivi al COVID-19». Poi, con il passare dei mesi, gradualmente e inesorabilmente, si è generalizzato l’accordo al maschile. Una semplice ricerca su Google mostra che «il Covid-19» (o anche, in forma ridotta «il Covid») prevale nettamente sul corrispettivo femminile «la Covid-19» (o anche, in forma ridotta «la Covid»). Numeri che hanno spinto Claudio Marazzini, Presidente (poi Presidente onorario) dell’Accademia della Crusca a sentenziare: «Io stesso […] all’inizio mi ero intestardito con ingenuità nel dire la Covid. Ma la lingua è nelle mani dei popoli. E gli italiani hanno decretato il Covid».

Oggi la parola è nota a tutti, perché la nostra vita quotidiana ha fatto i conti per anni con la pandemia. Sorte toccata anche chi non voleva accettare la realtà, come quella signora negazionista che nell’estate 2020, sulla spiaggia di Mondello vicino Palermo, proclamava a gran voce in italiano regionale «Non ce n’è di Coviddi», diventando grazie a quell’uscita personaggio popolare, con migliaia di seguaci su Instagram. Salvo poi doversi ricredere qualche mese dopo, quando la malattia ha colpito suo padre: «Ce n’è di Coviddi, vaccinatevi», ha saggiamente ammonito nella nuova circostanza. A partire dalla notissima parola-base, sono nate coniazioni come pre-Covid e post-Covid, per alludere a situazioni, fatti circostanze, ecc. collocabili in periodi precedenti o successivi al propagarsi della malattia. E anche, in forma scherzosa, la formula «ante Covid natum», riferita a una pubblicità prodotta in epoca precedente l’intrusione del Covid nelle nostre vite e mandata in onda successivamente, quando i comportamenti socializzanti lì descritti erano impraticabili, proprio per il rischio di contagio.

È frequente l’impiego abituale di Covid in giustapposizione con altri sostantivi, in funzione aggettivale: «paziente-Covid» (anche «paziente-non Covid»), «reparto-Covid». Per indicare la persona affetta da Covid sono stati coniati gli aggettivi «covidico» e «covidotico». Il primo, formato aggiungendo alla base il suffisso “-ico” (che indica ‘appartenenza’, come in «atmosferico»,, «biologico»,, «filosofico»,, «giuridico»,, ecc.), richiama per analogia altre parole terminanti in “-ico”, come «anoressico», «bulimico» (che segnalano una patologia); il secondo, formato aggiungendo alla base il suffisso “-otico” (che indica pur esso ‘appartenenza’, anche in vari dialetti meridionali: calabrese e salentino «marzotico» ‘di marzo’, in forma sostantivata «marzotica» ‘formaggio che si produce a marzo’, salentino «statoticu» ‘di estate’, calabrese e siciliano «annoticu» ‘di un anno’), richiama per analogia parole come «cirrotico», «scoliotico», «tubercolotico» (che segnalano una patologia). I due neologismi legati al Covid, peraltro scarsamente usati, di fatto convivono. Singolare la sorte che tocca a «covidiota», termine creato unificando due parole diverse, il nome Covid e l’appellativo idiota. Viene usato con due significati diversi, anzi opposti, sempre con valenza offensiva.. Da un lato designa chi, non rispettando le regole, mostra di pensare solo a sé stesso e ai presunti suoi interessi, mettendo a rischio la propria salute, oltre a quella degli altri. Dall’altro lato designa la persona ossessivamente terrorizzata dai contagi, una specie di stupido ipocondriaco.

Abbiamo visto solo un piccolo campione di quanto la pandemia abbia influito sulla nostra lingua. Molto di più mostra un bel libro di Fabio Marri, «La lingua del Covid. Italiano pubblico e privato sotto attacco virale», uscito nell’aprile 2023 presso libreriauniversitaria.it Edizioni, una molto dinamica casa editrice di Limena (Padova). Il libro è senza dubbio quanto di meglio il settore della linguistica ha finora prodotto sul Covid. Il solo «Indice delle parole e delle espressioni notevoli» occupa dieci pagine fitte su due colonne: dimostrazione eloquente di quanto il Covid ha cambiato la nostra lingua, oltre alle nostre vite.

«Nulla sarà come prima», proclamavano in molti. È vero anche per la lingua.

                                                                      [“Nuovo Quotidiano di Puglia” dell’11 giugno 2023]

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