Negli ultimi decenni, in Europa, si è registrata una significativa inversione di tendenza della dinamica della spesa pubblica: fra il 1969 e il 1982 la spesa pubblica è passata dal 32 al 42% del Pil nell’intera area OCSE e dal 37% al 50% in Europa, con forte accelerazione, in riduzione, dagli anni Novanta. La crescita europea è stata fortemente squilibrata e accentrata intorno alla Germania, che ha goduto dei vantaggi di una strategia neo-mercantilista: “svalutazione interna”, nell’impossibilità di deprezzare unilateralmente l’euro, tramite riforme del mercato del lavoro e austerità, con aumenti pressoché costanti delle esportazioni nette. Pur sperimentando le dosi più massicce di austerità fra i Paesi europei, e la più ampia caduta dell’Epl (quindi la maggiore accelerazione delle misure di flessibilità del lavoro), l’Italia non ha saputo trarre benefici strutturali e di lungo periodo dal modello di crescita export-led. La guerra russo-ucraina sta facendo sentire i suoi effetti, con un forte rallentamento della crescita tedesca: nel 2022, si è registrato il primo rosso della bilancia commerciale da trent’anni. Le esportazioni sono così scese dello 0,5% a 125,8 miliardi di euro mentre il valore delle importazioni è salito del 2,7% a 126,7 miliardi).L’austerità tedesca si fonda su una teoria economica discutibile, pre-keynesiana e obsoleta, per la quale la riduzione della spesa pubblica produce i seguenti effetti:
a) Migliora le aspettative sulla futura tassazione e, dunque, stimola i consumi
b) Riduce i tassi di interesse e, dunque, stimola gli investimenti privati
c) Genera moderazione salariale e, per questa via, accresce le esportazioni nette.
Questi effetti, a ben vedere, sono resi nulli dalla considerazione per la quale la compressione della spesa pubblica riduce la domanda interna e, dunque, la crescita economica, come sempre l’esperienza storica ha dimostrato. Inoltre, è dimostrato che l’austerità fra crescere il rapporto debito pubblico/Pil, a maggior ragione se, come nella condizione attuale, la BCE tiene alti i tassi di interesse.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 24 maggio 2023]