Ciascuna di esse, per lo più, è congiunta e consanguinea di contadini proprietari di un fazzoletto di terra, di mezzadri primitivi che pagano l’affitto con la metà, il terzo ed anche i due terzi del raccolto secondo la fertilità e la posizione del fondo, e di braccianti e di giornalieri agricoli che non possiedono nulla, e l’amore del pittoresco locale chiama li morti de fame, ed infine di contadini senza terra che hanno preso in enfiteusi piccoli appezzamenti per impiegarvi le giornate in cui non hanno lavoro, o perché di morta stagione o per cause connesse alla monocultura. L’enfiteuta, difatti, introduce grandi migliorìe e dissoda terreni impervi e sassosi e, poiché è disoccupato, non calcola il lavoro presente nella speranza di un utile futuro, se non immediato. L’enfiteusi ha carattere di prestazione perpetua, cioè senza scadenza di tempo, o per lo meno pluridecennale e lo Stato non dovrebbe mai intervenire; tuttavia, a riprova dell’offensiva generale dei proprietari contro i contadini durante il fascismo e negli anni precedenti, nel 1925 viene accordato ai proprietari medesimi l’aumento di un quinto del canone. E prima ancora, il 27 novembre 1902, Sidney Sonnino ha presentato alla Camera una proposta di legge per ottenere provvedimenti a favore delle province meridionali. Coronamento di essa è la legge sulla enfiteusi, in virtù della quale la metà della Puglia è dissodata e messa a vite. Ma questo provvedimento giunge quando sin dal 1887 è stato rotto il trattato di commercio con la Francia, l’esportazione del vino in quella direzione è stata bloccata, e i coltivatori si sono indebitati e non possono più pagare il canone enfiteutico. I proprietari della provincia ritornano così padroni dei loro antichi roveti, ora trasformati in campi fertili e pingui dal lavoro di migliaia di contadini. A Galatina si ricorda la cessione in enfiteusi di terreni denominati Duca di proprietà Tamborrino di Maglie. Mediatore della cessione è stato Francesco De Matteis, un esperto in agricoltura molto rispettato in quegli anni, cioè all’inizio del secolo corrente, per pratica e per esperienza, ma senza cognizioni scientifiche. Non si è fatta la trasformazione dei terreni a vigneti, ma mediante il dirocciamento si sono ricavati seminativi e campi di ortaggi e di agrumi.
Durante il fascismo le donne di questi contadini hanno mantenuto la fedeltà alla vecchia religione cattolica che è stata stimolo a sentirsi libere dalla talora gravosa potestà familiare, del padre o del marito, ed è stata per loro come una lega ideologica che le ha unite nel rapporto umano aprendole anche ad esperienze al di fuori della famiglia. Durante le prediche quaresimali esse affollano la parrocchia, sollecitate dal richiamo del clero locale.
2. Donne di popolo ed Angelo Musco
Nelle prediche quaresimali le tabacchine e le contadine galatinesi hanno sempre ascoltato un tipo di predicatore, elaborato dalla Controriforma, teorizzatore di alcuni canoni fissi, capaci di far assumere alle credenze popolari la stessa energia delle forze materiali. Sono state prediche mai indulgenti all’eloquenza esteriore ed alla raffinatezza della forma, bensì trincerate nel pacifismo evangelico che porta all’esaltazione dei valori puramente spirituali, e quindi alla passività, alla non-resistenza. In questa prospettiva trova anche la sua collocazione tanto il rosario recitato dalle tabacchine durante il lavoro, quanto la lettura quotidiana da parte della maestra di fabbrica alle sue subalterne, che ascoltano in coro, di brani tratti dai Promessi Sposi del Manzoni, con funzione di protezione paterna e padreternale. I veli e gli abiti di queste donne sono stati quasi sempre di color nero. Tre anni si porta il lutto per la mamma e per lu tata (il padre), due anni per gli altri congiunti, e quando è visitata dalla morte la casa di una donna anziana, costei porta il lutto perpetuo. Il nero è stato sempre per la gente del Sud il colore simbolo di una condizione legata alla sofferenza, alla povertà, all’umiliazione. La morte ha sempre aggravato la rovina di una famiglia, e perciò essa si sconta pagandole il tributo di un compianto più lungo. Una morte anticipata è stata per lungo tempo la leva militare. Si va a fare il soldato senza conoscere la causa e le ragioni di quella coscrizione, in quanto Stato, esercito e nazione sono ancora idee astratte di fronte alla realtà concreta del tenace attaccamento del giovane meridionale al focolare domestico che viene infranto ed alla sua legge di affetto, di sacrificio e di dovere che lo Stato comprime imponendo la lacerazione famigliare.
Ma le contadine e le tabacchine galatinesi ritessono col ritmo primitivo e grandioso di un’epopea popolare quel che lo Stato disgrega. Nasce di qui l’usanza corale da parte di parenti, amici e vicini di casa, di largire a gara doni al coscritto: mezza dozzina di fazzoletti o di calze, una camicia, una cravatta o danaro. Non si vuole tanto col dono vanificare la pena di chi provvisoriamente è strappato al culto della casa, alla religione del focolare ed alla santità degli affetti domestici, ma dare con pudore la certezza che nella famiglia da cui il coscritto si allontana, il posto non resta vuoto sino al ritorno, ma in luogo di esso prende vita la solidarietà affettuosa dei parenti e degli amici. Solo così il coscritto non si sente uno sradicato.
Sarebbe stolto insistere per accreditare, di queste categorie popolari, un ritmo di vita fatto soltanto di sofferenza e dolore. Anche per loro vi sono stati momenti di felicità vera, nata non soltanto dal lavoro comune e dai semplici affetti, ma anche dall’assistere la sera in piazza all’opera dei pupi, le marionette, attraverso le quali rivive l’antica epopea cavalleresca. A Galatina ne è stato abile regista lu Naticèddhu, un simpatico popolano morto in Sardegna, lontano dalla sua terra, per amore del suo mestiere, e noi lo ricordiamo in attività in piazza San Pietro lungo gli anni Trenta, idolo di giovanetti e di adulti. Poi c’è stato il momento in cui il vecchio nonno o la nonna hanno narrato lu cuntu ai bambini. E’ il tempo del pieno abbandono fantastico dei ragazzi, per i quali lu cuntu si annovera fra gli svaghi di maggior godimento spirituale, più del gioco a mazzarièddhu (salterello) ed a campana francese ed italiana.
Un pane marsigliese, per chi dalla nascita ha sempre mangiato il pane scuro e stantìo, ed un sorso di acqua del Sele, se sappiamo proiettarli su uno sfondo di miseria e di umiliazione, più che cose reali, diventano negli anni Venti e Trenta per i figli delle tabacchine e contadine di Galatina, la rivelazione di un altro mondo. Quel pane e quell’acqua che lu tata ha portato da Lecce sono stati il pane e l’acqua degli altri, di quelli che hanno mangiato il pan d’un giorno ed hanno bevuto il vin d’un anno. Specialmente l’acqua del Sele per il proletario ha evocato in quegli anni una suggestione, una magia da cui si attende che scatti la verità che libera l’uomo.
Ma un altro momento noi vogliamo ricordare, non diciamo di gioia, ma di aspettativa di felicità da parte di queste donne. Esso coincide con la presenza al Teatro Tartaro in Galatina di Angelo Musco, il grande attore comico siciliano assai popolare negli anni Venti e Trenta, e della sua compagna signora Anselmi. A pochissime tabacchine, mediante il sorteggio dei loro nomi, viene concesso l’ingresso gratuito a teatro da parte della ditta concessionaria stabilita per turno. Per loro si è trattato di un privilegio e di una fortuna. Perché? In Angelo Musco, attore d’istinto, queste donne hanno rinvenuto tutte le disuguaglianze e le impulsività dell’anima popolare. Si sono riconosciute in lui in quanto attore capace di ricreare e di riportare il teatro alle sue originarie scaturigini popolari, e popolari proprio perché sono più vicine alla originalità comune. Queste donne hanno cioè capito quello che il fascismo non ha capito di Angelo Musco: nel momento in cui gli uomini politici creano l’apparenza di una uniformità italiana, Angelo Musco, portando al successo il teatro dialettale siciliano, dimostra che ci sono forme nuove di indipendenza spirituale che non possono essere sommerse dal teatro togato, falso e pretenzioso. Si comprende allora il vincolo affettivo di Angelo Musco a Galatina, testimoniato anche da una serie di immagini fotografiche dedicate a Raffaele Bello, detto lu Paranza, il proprietario dell’albergo Margherita, dove l’attore ha dimorato durante i suoi soggiorni a Galatina. Angelo Musco e lu Paranza: non uno, ma due attori popolari, capaci di scomporre e ricomporre in sintesi gli elementi primordiali del loro atteggiamento plastico e verbale, uomini ricchi di vita interiore e quindi bisognosi di erompere selvaggiamente in espressioni e manifestazioni elementari e naturali.
Intanto la gioia di una sera passa presto. Le tabacchine di Galatina, oltre al loro lavoro, hanno dovuto svolgere anche il lavoro di contadine, al fine di essere più utili al mantenimento famigliare, e per la dote della figlia, e per soddisfare legittime aspirazioni che non sono andate mai oltre il bisogno, per esempio l’acquisto della macchina da cucire. Si è trattato di una spesa come mezzo di altre economie famigliari, poiché implicava l’indipendenza dalla sarta per la confezione delle camicie agli uomini di casa, o della gonna o della sottana. Noi ricordiamo nel 1936 a Galatina una vendita massiccia di macchine Necchi alle famiglie contadine, allettate da un murale propagandistico con cui la rivoluzione fascista, secondo il cattivo gusto di quei tempi, viene presentata come qualcosa che sta a mezzo tra lo sforzo muscolare ed una imbonitura industriale: Primo Carnera, un boscaiolo friulano di Sequals, diventato campione del mondo di pugilato nella categoria dei massimi dopo aver sconfitto a Roma in un incontro addomesticato lo spagnolo Paulino, tenta invano, gonfiando i bicipiti, di spezzare una Necchi. Siamo nella preistoria della pubblicità degli attuali mass-media.
3. La prostituzione durante il fascismo
Indagare nella società galatinese durante il fascismo anche il fenomeno della prostituzione, comporta stabilire se ci troviamo di fronte ad un fenomeno di marginalità o ad un elemento interno al quadro generale del pauperismo. La risposta può venire soltanto dall’analisi storica delle classi sociali.
Crisi agraria, cattivi raccolti, compressione fiscale e soffocamento delle istanze di autonomia locale sconvolgono a Galatina l’equilibrio tra le classi lungo l’arco del ventennio. Come in tutta l’Italia meridionale, anche a Galatina il capitalismo-agrario si è rigenerato attraverso i bassi salari dei contadini privati di qualsiasi organizzazione di classe, mentre dalla piccola e media borghesia rurale lentamente emerge il ceto degli intellettuali. E’ nata così a Galatina durante gli anni del fascismo una contrapposizione tra contadini ed intellettuali. Questi ultimi a scuola hanno vagheggiato la condizione contadina come immagine letteraria della felicità agreste popolata di Filli e di Tirsi, di Clori e di Sindoro, nella realtà hanno avversato aspramente il contadino lavoratore, e lo hanno sfruttato e smunto fino all’osso, anche perché è stato possibile sostituirlo facilmente, data la sovrappopolazione lavoratrice e l’eccedenza di mano d’opera.
Tuttavia gli intellettuali hanno avuto un terrore atavico ed istintivo del contadino, specialmente per la sua violenza distruttiva, e perciò hanno istituito con lui un rapporto di pura ipocrisia. Al contrario, il loro rapporto con l’autorità governativa e col grande proprietario di Galatina, per esempio i Galluccio, i Venturi, i Bardoscia, i Vallone, è stato di aperta disponibilità e di mediazione, alle cui radici c’è stata la tutela del proprio particulare. Insomma, fatte le debite eccezioni, un ceto, quello degli intellettuali, corrotto e sleale.
D’altra parte i contadini, e soprattutto i giornalieri, categoria meglio conosciuta con l’indicazione dei morti di fame, che hanno costituito la maggioranza della popolazione, non hanno avuto una forte e coesa organizzazione tra loro, perché sono stati incapaci di pensare se stessi come membri di una collettività, la nazione per i proprietari e la classe per i proletari.
In questo quadro, la struttura della famiglia contadina di Galatina è stata rigida e dominante. Nelle campagne, dove ha compiuto i lavori più duri la donna contadina è stata spesso disprezzata ed umiliata prima dal padre e poi dal marito, che hanno sfogato su di lei l’ira ed il rancore per la vita grama a cui sono stati costretti. Inoltre nel ceto rurale galatinese, che fino al secondo dopoguerra ha comportato la presenza di più del 50% di forza lavoro, ha preso corpo una strategia matrimoniale come riflesso della permanenza di attitudini collettive tese a far sopravvivere un tipo di parentela che si autoriproduce per inerzia e si basa su di una rete di solidarietà endogamica. Quando questa solidarietà è venuta meno (per esempio per il frequente soggiorno in carcere del padre pastore-contadino in seguito a reati di abigeato, o del marito per furti di bestiame da cortile o di prodotti agricoli o per morosità negli affitti), c’è stata la fuga della donna nella prostituzione. E’ qui allora che bisogna cercare le radici della prostituzione povera, che a Galatina ha integrato ed aggravato gli aspetti più vistosi della marginalità e del pauperismo.
La classe borghese di Galatina durante il fascismo, col suo perbenismo e benpensantismo (due categorie divenute ormai storiche nell’Italia meridionale), non ha reagito all’insegna del peccato e della colpa, come ci si aspetterebbe ad opera del clero locale, bensì con un atteggiamento di risentimento ad un segnale percepito come allarme sociale, specialmente quando negli anni Trenta muore per contagio di sifilide un rampollo della borghesia cittadina, il giovane Marra, figlio dell’allora direttore della locale Banca popolare cooperativa.
4. Complicità del fascismo
Fatto certo è che la classe egemone si dimostra incapace di un’analisi antropologica volta ad accertare la condizione di estrema povertà e miseria delle prostitute di Galatina, la loro bassa estrazione sociale, l’età giovanilissima, l’alcoolismo e le malattie che vi sono diffuse e la degenerazione morale di chi sfrutta la prostituzione locale. Quel che è più importante, l’alto livello di corruzione degli organi di polizia e sanitari ha impedito la conoscenza del modo in cui si modifica la locale realtà sociale della prostituzione in merito alla sua estensione, alla composizione sociale ed alla localizzazione urbana. Gli organi di polizia e sanitari hanno ridotto il proprio intervento alla sola stigmatizzazione del fenomeno. Questo comportamento si spiega come conseguenza del pregiudizio antifemminista borghese circa la pretesa inferiorità fisica ed intellettuale della donna, quasi un gradino di più nella scala degli esseri irrazionali.
La stigmatizzazione: essa segna l’estremo sviluppo del processo di marginalizzazione e di criminalizzazione della prostituzione galatinese, pretestuosamente considerata un fenomeno di devianza, e purtroppo ha investito sia la prostituzione ufficiale, rappresentata da quell’autentico luogo di segregazione che è stato il bordello della Rosetta, in piazza Vecchia, n. 1 a Galatina, sia quella clandestina, più diffusa di quanto si sia creduto nel ventennio.
Nella prostituzione a Galatina, s’intende in quella clandestina, si rinviene una presenza continua dell’elemento contadino profondamente legato alle strutture sociali della città. Inoltre la nostra ricerca non ha accertato alcun caso di prostitute o di tenutarie abusive che abbiano raggiunto livelli di limitato benessere e di decoro sociale. Ecco perché abbiamo parlato di prostituzione povera. Possiamo puntualizzare meglio che si è trattato di una prostituzione in cui il mercato del corpo spicca come elemento di economia individuale e spesso di economia familiare, e quasi mai come momento di mondanità.
Quindi il bordello. E qui ci troviamo di fronte, oltre che ad un vero e proprio luogo di segregazione tipico della società borghese, ad un’istituzione attraverso la quale, per mezzo della prostituta e del personale di polizia suo controllore e del medico incaricato della vigilanza sanitaria, il fascismo ha imposto il suo meccanismo di controllo sociale, progressivamente divenuto controllo normativo ed ideologico. Tale meccanismo ha coinvolto le giovani generazioni, la cui esistenza nemmeno un momento è rimasta fuori dell’orbita del partito e dello Stato, perché solo così il regime si è garantita la fruizione dei suoi miti, per imporre ad ogni livello i propri obiettivi.
Il fascismo, mediante leggi e circolari e direttive speciali emanate dalla camera dei fasci, ha mirato ad escludere dalle fabbriche, dagli impieghi, dalle professioni libere e persino dalle scuole (una legge fascista ha fatto pagare doppie tasse alle studentesse delle scuole medie e delle università) le donne, sospingendole così automaticamente in un’area anomala e marginale, che prima o dopo, nei casi estremi, si è identificata con quella della prostituzione.
Non fa meraviglia, quindi, che anche a Galatina la mobilità del personale del bordello sia stata controllata da spavaldi gerarchetti della prima ora e da esponenti della milizia di partito. D’altra parte il clero locale non è mai intervenuto per promuovere campagne moralizzatrici, quasi che abbia implicitamente ammesso la pratica sessuale come circoscritta al matrimonio ed alla prostituzione, col risultato che il bordello è diventato simbolo e cardine dell’ordine sessuale, che a sua volta si è iscritto nel raggio più vasto dell’ordine sociale borghese. Più precisamente l’alterità della donna che ha mercificato il proprio corpo ha corrisposto ad una precisa costruzione ideologica che ha marcato un dislivello di classe ed ha conferito così una identità non soltanto al gruppo subalterno della donna prostituta quanto a quello dominante, di cui ha giustificato il potere. La cultura religiosa e la cultura borghese si sono anche in questo caso saldamente unite per sostenere il ruolo secolare di subalternità della donna.
A Galatina dunque il bordello si è configurato durante il fascismo come il prodotto sociale della borghesia terziaria, quella cioè degli apparati politici, giudiziari ed amministrativi, al servizio della borghesia agraria, o industriale (quando c’è stata). Tale apparato ha posto in atto metodi repressivi, ribadendo così la dicotomia tra cultura egemonica e cultura subalterna ed affondando sempre più il solco del dislivello culturale.
5. Un mondo di cortesia
A lato del nucleo femminile rurale è presente a Galatina, fino agli anni della seconda guerra mondiale, un altro nucleo sociale: le affittacamere. Come è nata e si è diffusa a Galatina questa speciale categoria di donne lavoratrici?
La serietà degli studi, prerogativa del Liceo-Ginnasio “Pietro Colonna”, che ha richiamato a Galatina da tutta la provincia di Lecce ed anche dalle province limitrofe i rampolli della buona borghesia salentina, è una delle ragioni che determina la formazione della speciale categoria di persone cui facciamo riferimento, ma non è la sola. Dare a pigione una camera od un quartiere, e per di più a giovanetti di distinta origine sociale, in un ambiente che non ha avuto altra tradizione se non quella rurale, ha richiesto un’opera di elevazione, anche intellettuale, di strati popolari sempre più vasti, ha dovuto stimolare impulsi per dare personalità all’amorfo elemento di massa, ed infine ha sviluppato all’interno di esso e, sul piano pratico, un processo di gerarchizzazione e, quindi, anche di organizzazione. Così si è venuto formando a Galatina uno strato sociale che ha rinnovato le proprie opinioni e convinzioni in quanto è stato costretto a confrontarsi con elementi esterni, e perciò si è dato proprie norme di condotta ed un proprio codice di vita. Il lettore si avvede che siamo in presenza di un problema educativo delle masse.
All’interno della comunità cittadina ha preso corpo una frazione più avanzata che è stata di stimolo a tutto il raggruppamento. E’ nato così un mondo di cortesia e di gentilezza, caratterizzato da un composto decoro, una liberalità e signorilità senza affettazione e piaggeria da cui è germogliato quel vincolo affettivo che crea tra gli uomini una ragione di speciale fiducia e che si esprime nel sentimento della gratitudine per un beneficio ricevuto, nella fede data, nell’amicizia, nell’ospitalità, tutti valori che fanno prendere coscienza di quali debbano essere i nostri rapporti verso noi stessi ed i nostri simili. Si sono così introdotti a Galatina elementi capaci di creare legami morali e di fare scoprire che esiste anche un’etica del sentimento. Ci vengono alla memoria, da tempi ormai lontani, figure di donne e comportamenti di famiglie galatinesi che denunciano un mondo che ha segnato un ritmo storico in Galatina: Dorotea e Domenica De Matteis di corte Baldi, Addolorata Zinno di vico Freddo, Carmelina Pisanelli e Lucetta Duma di via XI Febbraio, Adele Marrocco di via Roma, le famiglie Valente di via Principe di Piemonte, le famiglie Pennino e Sammartino di via XX Settembre e Corso Re d’Italia. Non hanno tenuto presso di sé un pigionante, ma un ospite, del quale, con sobria discrezione e quasi sostituendosi alla famiglia di origine, hanno amministrato la mesata e con affetto hanno sorvegliato l’impegno di studio. Il nucleo popolare delle affittacamere è organico alla classe alta e borghese-agraria di Galatina e del Salento, e, quando sul finire degli anni Trenta questa si disgrega e decade, ne segue il destino. Per converso il nucleo sociale delle tabacchine-contadine, anche se negli anni Trenta non è in grado di formare un gruppo politico attivo, tuttavia viene elaborando, non avvertite, le fasi del suo sviluppo. Esse si traducono nell’immediato dopoguerra in nuove realtà sociali che fanno avanzare l’intera società. Ci tornano alla memoria i primi liberi cortei di donne galatinesi per le vie di Galatina nel 1945-1946. Avanza alla testa di essi una popolana portabandiera. Il suo nome di battesimo è Mimma Giuppa, ma il popolo la chiama Carcavecchia. Vestita di rosso, pancione in avanti, gli zigomi sporgenti, il naso camuso, quanto di elementare, cioè di più vicino alla natura sopravvive nell’umanità moderna, è presente nella sua persona. Il qualunquismo locale dà segni di disgusto al suo passaggio e si rivolta perché rifiuta di comprendere un mondo così ricco di istintiva vitalità, spavalda e sanguigna, in cui viceversa è il segno del primo affacciarsi della popolana galatinese sulla scena della storia.
[Memorie di Galatina. Mezzosecolo di storia meridionalistica e d’Italia, Mario Congedo Editore, Galatina 1998, pp. 131-137]