di Aleksej Nikolaevič Tolstoj
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Dieci anni fa, nella città di Kazan, si incendiò, in pieno giorno in via Prolomnaja, la casa di un mercante di seconda categoria, un uomo in vista, stimato e di solidi antichi principi morali e religiosi, Vjačeslav Illarionovič Zotov. I pompieri trovarono al pianterreno due cadaveri legati con dei cavi elettrici: di Zotov stesso e di sua moglie, ed al piano di sopra il corpo in stato d’incoscienza della loro figlia, Olga Vjačeslavovna, diciassettenne studentessa di liceo. La sua camicia da notte era ridotta in brandelli, le braccia e il collo erano graffiati con le unghie; tutto attorno faceva presupporre una lotta spietata. Tuttavia i banditi, evidentemente, non erano riusciti ad avere la meglio su di lei e, nel precipitarsi a fuggire dal luogo del delitto, le diedero soltanto un colpo in testa con un pesetto attaccato ad un cinturino di cuoio che fu rinvenuto, buttato lì vicino.
La lotta col fuoco per salvare la casa fu inutile, ogni bene materiale di Zotov andò bruciato. Olga Vjačeslavovna fu trasportata all’ospedale, le dovettero rimettere a posto la spalla slogata, suturare la ferita in testa. Per alcuni giorni rimase distesa priva di sensi. La prima sensazione sua fu il dolore, quando le cambiavano le bende. Vide, seduto sul lettino dell’ospedale, un medico militare con degli occhi pieni di bontà. Commosso dalla bellezza della ragazza, il dottore si mise a quietarla per non farla muovere. Lei allungò una mano verso di lui: «Dottore, ma che bestie!» – e scoppiò a piangere.