Precarietà, welfare state e denatalità nel Salento

b) Lo smantellamento del welfare. Il lavoro di riproduzione sociale – i c.d. servizi di cura – diventano più costosi se, come sta avvenendo da decenni, lo Stato riduce la spesa per servizi di welfare (si pensi ai pochissimi asili nido che abbiamo nei nostri centri urbani). L’elevato costo dell’accudimento di figli, combinato con la contrazione dei redditi reali (l’Italia ha visto ridursi i salari reali del 2.9% dal 1990, come certificato dall’Istat), disincentiva la spesa per la costituzione di nuove famiglie. L’ipotesi del Governo – detassare le famiglie per far fare figli – è inefficace e, al tempo stesso, viola un criterio di giustizia. È inefficace dal momento che, nel breve termine, è il medesimo Governo a riconoscere che non si ha margine di manovra sul bilancio pubblico per ricorrere a miliardi di sgravi per tutti. In più, la proposta viola un criterio di giustizia distributiva, trattando tutte le famiglie allo stato modo. Vi è una sola soluzione a portata di mano, come peraltro sottolineato da Svimez: rivedere la Legge Bossi-Fini e disciplinare in modo meno rigido i flussi di immigrazione in arrivo. Occorre soprattutto riconoscere i titoli di studio degli immigrati e coinvolgerli in percorsi di cittadinanza attiva. Soltanto la presa d’atto dei loro diritti e la loro collocazione in segmenti del mercato del lavoro per i quali offrire le loro conoscenza può evitare che l’immigrazione da opportunità si trasformi in rischio, con un profilo di competizione al ribasso con i nativi. In più, contrariamente a quanto disposto nel “Decreto lavoro”, occorrerebbe ripensare l’economia della precarietà e – attenendosi agli esempi europei più virtuosi (Spagna, in primis) – introdurre maggiori vincoli alla possibilità di licenziamento, e meno “flessibilità” nel mercato del lavoro (anche mediante i minimi salariali), con l’obiettivo di accrescere salari e consumi, tenendo alta la domanda interna, stimolare le innovazioni tecnologiche e contrastare la denatalità. Ciò soprattutto nel Mezzogiorno: si consideri, infatti, che il nostro specifico “inverno demografico” è ancora più tale per gli imponenti flussi migratori che, come dimostrato, derivano non solo da poche occasioni di lavoro in loco, ma anche dalle bassissime retribuzioni e dall’elevata intermittenza dei contratti di lavoro.

[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 21 maggio 2023]

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