di Guglielmo Forges Davanzati
I Comuni della provincia di Lecce, in linea con una tendenza globale e ancor più presente nel Mezzogiorno, si stanno spopolando, come messo in rilievo in queste pagine. Il fenomeno è molto preoccupante per almeno due ragioni. Innanzitutto, la denatalità mette a rischio le pensioni future e dunque il bilancio dell’INPS, dal momento che le pensioni attuali sono, di fatto, pagate con i contributi versati da coloro che sono occupati oggi. In secondo luogo, ed è ciò che già sta accadendo, la denatalità riduce l’offerta di lavoro, mettendo, in alcuni settori, le imprese in difficoltà per quanto attiene al reperimento di manodopera. Nel Salento il fenomeno sembra essere strettamente correlato a due cause: a) L’elevata precarietà del lavoro. L’indicatore che l’OCSE utilizza per quantificarla è l’Employment protection legislation (legislazione a tutela del lavoro), che, in Italia, ha subito la più veloce riduzione e che è oggi più basso nelle aree periferiche rispetto alle aree centrali dello sviluppo capitalistico. Il processo di deindustrializzazione della provincia di Lecce (con il solo parziale reshoring di Casarano) si è accompagnato alla grande crescita dell’incidenza del turismo (povero) sul Pil e, in questo settore, all’aumento del lavoro nero, sottopagato e precario. Con ogni evidenza, la precarizzazione del lavoro accresce l’incertezza e rende problematico pianificare la propria esistenza: in più, connessa con l’incentivo alla mobilità (su basi individuali), erode i legami sociali e, dunque, la famiglia.