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Come si può vivere bene in una città nella quale mille interessi particolari continuamente rischiano di confliggere tra loro? Napolitano indaga questo tipo di utopia negli autori della Grecia arcaica e classica, da Omero e Esiodo ai tragici e ai comici del IV e V secolo, i quali, pur non conoscendo, come s’è detto, il termine utopia, nelle loro opere hanno pensato alla costruzione di scenari possibili che garantissero la giustizia e la pace all’interno della polis, senza mai abbandonarsi a derive fantasiose o a inutili retrotopie, ovvero sguardi nostalgici verso il passato, ma sempre tenendo i piedi ben piantati in terra, muovendosi con circospezione tra illusione e consapevolezza della vanità d’ogni speranza. La speranza, la futura virtù teologale che, alcuni secoli dopo, avrebbe indotto Agostino ad immaginare la Città di Dio in un altrove attingibile solo post mortem. I Greci non abbandonarono mai “il pessimismo di fondamento naturalistico”, per dirla con Domenico Musti citato nel volume in esergo, che li induceva all’azione dentro il circuito della polis; almeno fino ad Alessandro Magno, quando il loro interesse per la politica venne meno col venire meno della centralità della polis. Il cosmopolitismo ellenistico uccise la politica. Possiamo dire noi la stessa cosa della globalizzazione contemporanea? Io penso di sì, considerato il disimpegno dalla politica di un sempre maggior numero di persone e considerata anche la trasformazione dell’attuale politica in mera governance. Insomma, siamo in una nuova età ellenistica, dove il cittadino conta ben poco e le decisioni vengono prese in un luogo molto lontano, tanto che a volte abbiamo la netta sensazione di non essere più rappresentati da nessuno. La lezione degli antichi greci, allora, torna d’attualità e può insegnare qualcosa di molto importante ai governanti d’oggi. Esiodo diceva: “Quanti a stranieri e a cittadini assicurano rette sentenze, / né si allontanano dalla via della giustizia, per loro / la città prospera, e chi vi abita fiorisce.” Al contrario, in una città mal governata “Giustizia è trascinata via là dove / la conducono gli uomini divoratori di doni, e pronunciano giudizi / con torte sentenze. E lei la segue, piangendo la città e i costumi / dei cittadini, avvolta di nebbia, male portando ai mortali.” (Esiodo, Le opere e i giorni 235-237 e 221-224). E’ il tema, valido in ogni tempo, e dunque anche nel nostro, del potere giusto, cioè di un potere fondato sulla giustizia. A noi tocca scegliere se preferiamo essere rappresentati da coloro che “assicurano rette sentenze” oppure dai “divoratori di doni”.
[“Il Galatino” anno LVI . n. 10 – 19 maggio 2023, p. 6]