Come è noto, il 40% della spesa complessiva del Piano dovrebbe essere destinata alle Regioni del Sud: il condizionale serve, però, a chiarire che non si è stabilito un criterio per definire il vincolo territoriale della spesa, dal momento che il meccanismo che si è scelto – quello dei bandi competitivi – non lo garantisce in automatico. Gli allarmi sono stati lanciati, dagli addetti ai lavori, ben prima della sua approvazione come parte del Next Generation Europe. Si tratta di due matrici di rischio: a) l’aumento del costo delle materie prime, che obbliga a rivedere i prezzari delle opere da realizzare da parte di imprese private; b) il sottodimensionamento della pubblica amministrazione, combinato con la carenza di competenze per la redazione dei progetti (tecnici, architetti, ingegneri).Si ricordi la differenza, stabilita negli accordi europei, fra missioni e obiettivi: i primi sono adempimenti burocratici, i secondi riguardano l’effettiva esecuzione delle opere. Il secondo problema è, allo stato dei fatti, quello più sentito. Due recenti ricerche approfondiscono l’argomento: un bel libriccino recente di Gianfranco Viesti (Riuscirà il PNRR a rilanciare l’Italia?) e il Report di due giorni fa del Forum PA. Il caso di Lecce è emblematico di un problema di carattere generale che riguarda il funzionamento della macchina amministrativa. Dopo lo sciagurato blocco del turnover degli anni dell’austerità (2011-2013), si è manifestato il problema della scarsa appetibilità – soprattutto per i giovani – del c.d. posto fisso. Si è sostanzialmente bloccato il reclutamento, giungendo a un’età media di 50.7 anni (a fronte dei 44,2 anni del 2001) e, tramite l’introduzione di contratti a tempo determinato nel settore pubblico, già caratterizzato da salari molto bassi e uniformi, si è creato un forte disincentivo all’ingresso. Il risultato è che, a fonte di una media di circa 200 partecipanti a concorsi pubblici di venti anni fa, oggi ne partecipano circa 40. Il fenomeno delle “grandi dimissioni” peggiora il quadro: si tratta dell’abbandono, da parte soprattutto di individui di giovane età, del posto di lavoro, quando questo non soddisfa condizioni più generali di benessere. È un problema che va a sommarsi a quello della scarsa mobilità geografica, che riguarda sempre più spesso giovani meridionali che non desiderano trasferirsi al Nord, soprattutto per i prezzi più alti delle abitazioni e dei canoni d’affitto. Il Comune di Lecce, pur con queste difficoltà, comuni a molti Enti locali meridionali, ha fin qui svolto la sua parte. Non senza polemiche. Si lamenta la scarsa partecipazione e il fatto che i progetti presentati, anche per il problema del sottodimensionamento e della carenza di tecnici, sono spesso reiterazione di progetti nel cassetto. Nel merito, la polemica riguarda prevalentemente, ad oggi, la missione 2, in relazione alla quale la mitigazione del rischio idrogeologico sembra correre il rischio di produrre un taglio indistinto di alberature (talvolta anche in buona salute) senza precedenti. Per il prosieguo, è opportuno – per il buon esito della progettazione e dell’esecuzione – che vi sia ampia e democratica partecipazione ai processi decisionali, soprattutto perché il Piano non venga considerato – come lo è stato fin qui – come un mero esperimento “tecnocratico” lontano dai bisogni della cittadinanza.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 18 maggio 2023]