La Puglia di Flavio Biondo

Nel clima del rientro della curia papale a Roma e nella prospettiva di un riordina­mento amministrativo e urbanistico della città eterna, Biondo scrisse e dedicò ad Eugenio IV la Roma instaurata (1444-1446), una descrizione di Roma con la rico­struzione della topografia antica della città, condotta col sussidio delle iscrizioni, dei monumenti e degli autori antichi: un’opera che è alle origini dell’antiquaria e dell’archeologia di Roma. La Roma instaurata fu poi seguita dalla Roma triumphans (1457-1459), dove sono sistematicamente trattate le istituzioni pubbliche, private, religiose e militari di Roma antica, sul genere delle Antiquitates di Varrone (II-I secolo a.C.).

L’opera più fortunata del Biondo è certamente l’Italia illustrata (1448-1453), con la quale egli ha posto le basi della geografia storica italiana. La descrizione dell’Ita­lia, suddivisa in diciotto regioni, si conclude con la quattordicesima regione, l’Apu­lia, e dunque rimane monca delle ultime quattro regioni meridionali previste nel piano originario: Lucania, Salentini o terra d’Otranto, Calabria, Bruzio. Il mio intento qui è di trattare della Apulia descritta dal Biondo.

L’organizzazione regionale dell’Italia risalente ad Augusto (8 a.C.) (dalla quale erano escluse le isole, la Sicilia e la Sardegna, che facevano parte del sistema delle province romane, e di conseguenza sono assenti anche dal piano del Biondo) è, grosso modo, alla base dell’opera del Biondo, che la ricava soprattutto dalla Natu­ralis Historia di Plinio il Vecchio (I secolo d.C.). Del piano augusteo Biondo riprende la nozione e la visione complessiva di Italia. Fra le undici regioni istituite da Augu­sto, l’Apulia costituiva la «seconda regione», che si estendeva dal fiume Biferno (Tifernus) al Capo Santa Maria di Leuca (Promontorium Iapygium o Sallentinum) e, da qui risalendo il golfo di Taranto, fin nei pressi di Metaponto; all’interno, l’Apulia si inoltrava dal Biferno fino ai monti del Sannio e della Campania per poi seguire il fiume Bradano che delimita il confine con la «terza regione» augustea (Lucania e Bruzio). L’Apulia augustea comprendeva Hirpini, Calabri, Apuli e Sallentini (Plinio, Naturalis Historia III, 103). Per la denominazione di Calabria data alla penisola Sa­lentina, non è infrequente che l’intera regione pugliese sia denominata Apulia et Calabria, ma anche che la penisola Salentina sia considerata regione diversa dal­l’Apulia, come infatti essa è considerata nel piano di Biondo, probabilmente anche sulla suggestione della Geografia di Claudio Tolemeo (II secolo d.C.), opera molto letta nel Rinascimento, nella quale Tolemeo ripartiva l’Apulia come segue: Salentini (capo Iapigio), Calabri (Otranto, Lecce, Brindisi), Peucezi (Egnazia, Bari, foce del fiu­me Aufidus/Ofanto), Dauni (Salapia, Siponto), Apenesti (monte Gargano). Sul fon­damento di tradizioni mitiche ed etniche, confluite e sistemate nell’Eneide di Virgi­lio (I secolo a.C.), l’Apulia è anche distinta in Daunia (fra il Gargano, Canosa e Veno­sa circa), Peucezia (fra Bari, Egnazia e Ginosa circa) e Messapia (Salento).

Con la divisione dell’Italia in diciotto regioni, Biondo intendeva adattare la confi­gurazione dell’Italia augustea a quella della sua epoca, in un compromesso fra anti­co e moderno. La Apulia, quattordicesima e ultima delle regioni dell’Italia illustrata, è descritta sommariamente e parzialmente da Biondo. La regione risulta suddivisa in due fasce: una (corrispondente all’odierno Molise) compresa fra i fiumi Biferno e Fortore, l’altra compresa fra il fiume Fortore e il promontorio del Gargano; dunque la Puglia descritta dal Biondo corrisponde, grosso modo, all’antica Daunia. I fiumi Biferno e Fortore e il monte Gargano sono gli elementi geografici che determinano e guidano la descrizione della Puglia. La descrizione muove dalla costa verso l’inter­no delle due fasce territoriali che sono state qui individuate, seguendo il corso dei fiumi Biferno e Fortore dalla foce alla sorgente (in questa ottica e direzione si inten­dono le indicazioni del Biondo «a sinistra», «a destra», «più sopra», e simili) e pren­dendo di volta in volta dei punti di riferimento e di partenza costieri, che sono: Campomarino, lago di Lesina, lago di Varano, Rodi Garganico, Vieste. Perciò la de­scrizione del Biondo muove secondo queste direttrici: a) da Campomarino a Cam­pobasso e oltre, cioè dalla foce fino alle sorgenti del Biferno; b) dal lago di Lesina fino alle sorgenti del Fortore; c) dal promontorio del Gargano (con le isole Tremiti) di nuovo fino alle sorgenti del Fortore. Qui si interrompe inaspettatamente la de­scrizione della Puglia e l’opera del Biondo, che si proponeva di proseguire con la de­scrizione delle «terre esposte al mare dopo il monte Gargano».

Il De situ Iapygiae di Antonio de Ferrariis Galateo (1511) sarà del tutto indipen­dente dalla Puglia dimezzata e incompleta del Biondo, e non avrà alcuna finalità di complemento rispetto ad essa. Anzi, al freddo e burocratico distacco del Biondo nella descrizione della Puglia, si contrappone la passione e l’orgoglio del Galateo per la sua gloriosa e antica Iapygia e per le sue origini greche, insieme con l’ama­rezza per lo stato di abbandono della regione ai suoi tempi. Ciò che è comune al Biondo e al Galateo, ma in diversa prospettiva culturale e politica, è la drammatica consapevolezza della crisi dei loro mondi rappresentata dai Turchi: il mondo della latinità cristiana per Biondo, il mondo della grecità e della cultura greca in Salento per il Galateo.

In nessuna parte della descrizione della Puglia è possibile accertare se la descri­zione del Biondo derivi da conoscenza diretta dei luoghi o, piuttosto, da mediazio­ne libresca o ‘documentaria’. Anche se al Biondo non erano mancati gli strumenti e gli atti della ordinaria amministrazione pontificia per conoscere dalla sua posizione ai vertici della cancelleria papale le realtà geografiche regionali e locali, non va di­menticato che l’Italia illustrata è scritta da Biondo proprio negli anni del suo allon­tanamento dalla curia pontificia. Può forse essere utile ricordare che molti anni pri­ma, fra il 1412 e il 1413, il giovane Biondo aveva rifiutato le insistenti richieste del capitano di ventura Muzio Attendolo Sforza (1369-1424) perché si recasse in Puglia come suo segretario. Insomma, è molto probabile che Biondo non sia andato per­sonalmente più a sud di Napoli e dintorni, in occasione della sua visita alla corte di Alfonso V (1452). La richiesta del Biondo al re Alfonso V di fargli avere memorie e carte da utilizzare nelle sue ricostruzioni storiche era rimasta senza risposta. L’Italia che egli meglio mostra di conoscere e che più considera è l’Italia centro-settentrio­nale. Della sua conoscenza delle regioni meridionali, il Biondo così scriveva in una lettera del 21 dicembre 1450 inviata da Ferrara al cardinale Prospero Colonna: «quarum regionum vetustates notissimas habeo, sed huius temporis locorum nomi­na situmque nec satis perlustravi nec alia plene novi …» («di queste regioni [cioè: le regioni meridionali], conosco molto bene le antichità, ma non ho esplorato a suffi­cienza i nomi e il posto dei luoghi di oggi, e null’altro conosco pienamente.»). La de­scrizione più scarna e incompiuta delle regioni meridionali, soprattutto dell’ultima, la Puglia, è dunque indizio di un difetto di conoscenze mal celato dalla giustificazio­ne del Biondo di essere costretto ad affrettare la pubblicazione dell’opera per pre­venire una edizione abusiva da parte di un prelato al quale egli aveva incautamente dato da leggere il suo manoscritto. Comunque, i toponimi e la localizzazione dei siti pugliesi sono generalmente corretti.

La descrizione geografica della Puglia è accompagnata da sommarie notizie stori­che che vanno dalla Puglia romana alla Puglia contemporanea del Biondo (che con­siderava la storia la sua prima e più forte vocazione ab ipsa adolescentia, «fin dal­l’adolescenza»). Egli deriva dalla lettura di Virgilio e del suo commentatore Servio (IV-V secolo d.C.) le tradizioni mitiche su Diomede e la loro dislocazione geografica antica; dal De civitate Dei di Sant’Agostino (IV-V secolo d.C.) riporta le tradizioni mi­tiche sul culto di Diomede nelle isole Tremiti; da Tolemeo e da Plinio il Vecchio at­tinge le informazioni geografiche sulla Apulia antica; da Livio (I secolo a.C.-I secolo d.C.) cita alcuni episodi riguardanti la penetrazione romana in Apulia (nel corso del­le guerre sannitiche, 323-317 a.C.), la guerra annibalica (217-216 a.C.), i moti servili-pastorali antiromani (185 a.C.); da Cesare (I secolo a.C.) cita la notizia della sosta di costui a Corfinio (dopo l’assedio e la conquista della città: 49 a.C.).

Alla Apulia romana fra il IV e il I secolo a.C. Biondo (per il tràmite di Livio, soprat­tutto) riserva dunque una attenzione storica preferenziale pur se frammentaria, che può risultare perfino squilibrata rispetto alla ben più sporadica e limitata atten­zione riservata agli avvenimenti storici di altre epoche. Biondo ricorda una delle tante incursioni dei Saraceni nel Gargano e la loro cacciata prima da parte di un re Longobardo (o di un duca di Benevento) poco dopo il 700 e poi, un secolo più tardi, da parte di Carlo Magno. È probabile che Biondo, ricordando le milizie dei conti di Campobasso guidate da «Carlo», accenni indirettamente alla battaglia di Beneven­to (26 febbraio 1266) o alla battaglia di Tagliacozzo (23 agosto 1268), vinte da Carlo I d’Angiò sui re Manfredi e Corradino di Svevia. La menzione della città di Vieste of­fre poi al Biondo l’occasione per richiamare la sua opera storica a proposito della pace di Venezia (21 luglio 1177) fra il papa Alessandro III (partito da Vieste) e l’im­peratore Federico Barbarossa, secondo un criterio di complementarità e di integra­zione fra opera geografica e opera storica scritte dallo stesso autore che è sugge­stivo di un richiamo qui all’analogo criterio ben noto agli storici, introdotto dallo storico-geografo ellenistico Strabone (fine I secolo a.C.-inizi I secolo d.C.) sulla com­plementarità della sua Geografia con i suoi Commentari Storici.

La Geografia di Strabone e l’Italia illustrata del Biondo sembrano avere in comu­ne, in senso lato, motivi d’origine e finalità pratiche (di conoscenza storico-geogra­fica e di uso pratico nelle attività amministrativo-diplomatiche); entrambe integra­no notizie geografiche con notizie sulla storia, sui monumenti, sui personaggi più illustri dei luoghi descritti, e sono dagli stessi autori considerate complementari con la loro opera storica. L’analogia Strabone-Biondo rimane comunque a livello di sug­gestione, dato che Biondo, se conosceva e usava la Geografia di Strabone (perve­nuta pressoché per intero nei suoi diciassette libri e diffusa nel Rinascimento nella traduzione latina di Guarino Veronese, frequentato dal Biondo), non conosceva e non poteva conoscere i Commentari Storici straboniani, un’opera in ben quaranta­sette libri della quale rimangono pochissimi frammenti, che si proponeva come continuazione delle Storie di Polibio (II secolo a.C.) e dunque come cerniera fra la storia greca dell’inevitabile declino dei regni ellenistici e la nuova storia della irresi­stibile ascesa di Roma nel Mediterraneo.

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Faccio seguire il testo latino delle pagine dell’Italia illustrata di Flavio Biondo re­lative alla Apulia, con una mia traduzione e note di commento. Il testo è tratto dalla edizione di Basilea del 1559, utilizzata da me e da altri colleghi nei seminari sulla Italia illustrata del Biondo che abbiamo tenuto presso l’Università di Pisa. L’edizio­ne nazionale dell’Italia illustrata presso l’Istituto Storico Italiano per il Medioevo è in progress (tre i volumi finora pubblicati, Roma 2011-2017). La Biblioteca “P. Sici­liani” di Galatina possiede tre edizioni cinquecentesche delle opere del Biondo: Taurinum 1527; Basilea 1531; Venetia 1542 (quest’ultima contiene la Roma instau­rata e l’Italia illustrata «tradotte in buona lingua volgare per Lucio Fauno»)[1].

Regio Quartadecima Apulia.

[421 A] Oportuit supra Samnitium regione ad Tiferni amnis dexteram a nobis ex­pedita, ad eiusdem fluvii sinistram transire, et ibi inchoantem Apuliam exordiri: sed connexam, sicut ostensum est, Samnio Campaniam prius describere coacti fuimus. Itaque ad Apuliam finita Campania redeundum est. Eam regionem a duce eiusdem nominis sic appellatam Ptolemaeus bifariam dividit, ut Apulos, Daunos et Tifernos ad Barium urbem, Peucetios inde usque ad Salentinos esse velit. Servius vero in oc­tavo Virgilij verba exponens, Diomedis ad urbem, sic habet. Diomedes tenuit partes Apuliae: et edomita omni Gargani montis multitudine, in eodem tractu multas con­didit civitates, Beneventum, Equitucium, et Arpos, quae et Argirippa est dicta: pars vero ad quam Virgilius facit missum fuisse Mesappum, Mesappia, et Peucetia a fra­tre. Item Daunia a Dauno rege. Gesta in Apulis referre operosum esset: sed aliqua ex more nostro summatim attingemus. Apuli prius [421 B] bello quam amicitia Ro­manis noti fuerunt. Nam Livius libro VIII dicit. C. Sulpicio, Q. Aemilio consulibus, ad defectionem Samnitium accessisse novum Apuliae bellum cuius tunc ager sit vasta­tus: et libro IX. Publium consulem in Apuliam profectum, aliquot expeditionibus po­pulos aut vi subegisse, aut conditionibus in societatem accepisse. Et infra: Inclinatis semel in Apulia rebus, Teatini quoque Apuli ad novos consules, Q. Iunium Bubulcum, Q. Aemilium Barbulam foedus petitum venerunt, pacis per omnem Apuliam prae­standae populo Romano autores. Id audacter spondendo impetravere ut foedus da­retur, neque ut aequo tum foedere, sed ut in ditione populi Romani essent. Sicque Apulia est perdomita. Libro autem X.Magnus motus servilis eo anno in Apulia fuit: Tarentum provinciam L. Posthumius praetor habebat: is de pastorum coniuratione, qui vias latrocinijs pascuaque publica infesta habuerant, quaestionem severe exer­cuit: ad septem milia hominum condemnavit, multi inde fugerunt, de multis sum­ptum est supplicium. Sunt prima Apulorum ad Tiferni sinistram oppida Campus Ma­rinus in littore: et intus decimo milliario Larinum novum oppidum alteri suffectum, vetustissimo eiusdem [421 C] nominis proxime ad duos mille passus demolito. De quo Livius libro XXII. Post descriptam Hannibalis fugam ab agro Falerno sic habet. Hannibal ex Pelignis flexit iter, retroque Apuliam repetens, Galeranum pervenit: ad urbem dictator in Larinate agro castra communivit. C. Caesar in commentario. Inde Caesar septem omnino dies ad Corfinium commoratus, per fines Marrucinorum, Frentanorum, et Larinatum in Apuliam pervenit. Quarto supra Larini veteris ruinas milliario est Casacalenda oppidum, cui ad duos mille passus proximae sunt ruinae Gerionis oppidi vetustissimi: de quo Livius libro XXII. Quum ad Gerionem iam hyeme impendente consisteret bellum, Neapolitani oratores venerunt Romam. Et infra: quam diu pro Gerionis Apuliae castelli inopis, tanquam pro Carthaginis moenibus pugnavit. Superius sunt: Ioveniscum, Morronum, Castellum lineum, Petrella, mons Saganus Iacobi copiarum ductoris egregii patria, a qua cognomen habet. Inde Coa­cta Rochetta, Ratinum, Bussum, Baranellum, Vinculatorium: quod a Boviano et Ti­ferni amnis origine quinque milia passuum abest. Medioque in montium a mari ad Bovianum tractu monti Sagano ad sinistram quarto proximum est milliario Cam­pus [421 D] bassus, a quo oppido patriam quoque et cognomen habent comites Campi bassi: quorum Carolus copias cum prudentiae et fortitudinis laude ducit. A Ti­ferno autem fluvius nunc Fortorius viginti milia passuum in littore distat. Qui qui­dem fluvius in mare se exonerat prope lacum Lesinae appellatum, passuum quadra­ginta milia in circuitu complexum. Lesinaque oppidum quatuor a mari milibus di­stans lacui cui dat nomen, mille passibus est propinquum. Intus autem quarto supra Lesinam milliario proximum est ad mille passus amni Fortorio, et arduo in colle op­pidum, in regione egregium, Serra capriolla appellatum. Superius sunt oppida et ca­stella: S. Iulianus, Collis tortus, Machia, Petra cratelli, Campus petrae, Geldonum, et in summo Circus maior, cui proximum Fortorius amnis habet ortum. Ad sinistram vero Fortorij sanctus Nicander oppidum quinque milia passuum a mari distans lacui Lesinae imminet ad eam partem, quae monti Gargano est proxima. Interiusque Por­cina oppidum quindecim a Fortorio, duo a Gargani montis radicibus milia passuum abest: sextoque supra Forcinam milliario oppidum S. Severus, sexdecim a Fortorio, et sex a Gargano milibus recedit. Priusquam ultra procedamus, Garganum prisci praesentisque nominis montem fama notissimum describamus: is ad infimas ra­dices in planitiem desinentes, ducentorum milium circuitu patet. [422 E] Qua vero in parte ad occidentem solem versa, Fortorium amnem, et maris Adriatici sinum spectat, lacum habet Varrani appellatum, triginta passuum in circuitu complexum: cui quidem lacui castella circumimminent, Caprinum, Cognatum et Sitella: et qua mons ipse in mare prominet Rodium, ut nunc appellant, oppidum inferiora obtinet: quod quidem promontorium et oppidum Ptolemaeus Pliniusque, et caeteri omnes prisci Tirium appellarunt: supra est oppidum Vicus dictum: et superius montis sum­mitatem obtinet, praeclarum Sancti angeli oppidum: a quo mons ipse praesentis temporis, ut plurimum nominationem habet. Ornaturque templo cum aedificijs, caeteroque apparatu, tum maxime ipsa religiositate conspicuo: quod archangeli Mi­chaelis patrocinium apud deum nostrum imploraturi totius Christiani orbis populi, maximo per universa anni tempora concursu frequentant. Qua vero Garganus spe­ctat in orientem solem oppidum est portuosum, nunc Bestia olim Vestice appella­tum. Unde ostendimus in Historijs, Alexandrum tertium pontificem Romanum a Gui­lielmo secundo Normannorum gentis rege adiutum soluisse cum [422 F] tredecim triremibus: ut pacem cum Federico primo imperatore pessimo compositurus, Vene­tias navigaret. Eoque in loco, quum sit secundum Gargani promontorium, Ptole­maeus Adriatici maris sinum finire, ac Ionium mare asserit inchoare. Qui etiam dicit Diomedis insulam Garganeo ad triginta milia passuum e regione proximam esse. Estque haec insula, de qua Beatus Aurelius Augustinus De civitate dei scribens, ali­qua dicit, quibus ab ipso transscriptis unusquisque pro autoris gravitate fidem quam volet, poterit adhibere. Diomedem ferunt deificatum: et socios suos in aves esse conversos, non fabuloso poeticoque mendacio, sed historica attestatione: quin etiam templum eius esse aiunt in insula Diomedica, non longo a monte Gargano: et hoc templum circumvolare atque incolere has alites tam mirabili obsequio, ut aquam impleant et aspergant. Et eo si Graeci venerint, aut Graecorum stirpe proge­niti, non solum quietas esse, verum et insuper advolare: si autem alienigenas vide­rint, subvolare ad capita cum gravibus ictibus, ut etiam perhibeant vulnerare. Nam duris et grandibus rostris satis ad haec praelia perhibentur armatae. Eam vero in­sulam Tremiti appellatam: et Diomedis, ut videtur, [422 G] templum illud nunc inha­bitant religiosi Canonici regulares appellati: quos non minus hoc in loco quam Ve­netijs, sicut ostendimus, et fovit et auxit gloriosus pontifex IIII Eugenius: quorum vitae austeritas, et sanctimonia adeo cunctis est admirabilis: ut cum advenis omni­bus sint hospitales ac munifici, a nullis vel perditissimis quarumcunque gentium et nationum piratis ullam hactenus acceperint laesionem: eorum nos quosdam narrare audivimus, has aves Diomedis nomen retinentes, magnitudine anseris insulam ha­bere multas: sed omnino omnibus innocuas, nec aliquod eis aut templo prestantes obsequium. De Gargano monte habent aliqua Virgilius et Servius: quae ad universae Apuliae notionem plurimum faciunt. Nam quum Virgilius in nono dicat, Gargani condebat Iapygis arces: exponit Servius: Iapygia est pars Apuliae, in qua est mons Garganus, qui usque in Adriaticum protenditur pelagus. Lucanus etiam dicit: Apulus Adriacas Garganus exit in undas. Garganum montem adiacentiaque oppida Sarace­ni per Grimoaldi Longobardorum regis tempora, ad annum salutis paulo plus septin­gentesimum ceperunt: quos idem rex expulit populis [422 H] Christianis ubique con­servatis, ut nulla gens Longobarda in ducentis regnorum suorum annis talem prae­stiterint Italiae operam. Ad annum exinde paulo plus minus centesimum Carolus Magnus imperator, et Francorum rex Saracenos Garganum opprimentes, quum ex­pulisset: omnia pacifice possedit, quae ab ipso Gargano ad Cordubam Hispaniae ur­bem intercedunt. Prius autem quam exposita mari post Garganum montem prose­quar, alia describam, quae ad amnem Fortorium inchoavi. Supra sancti Severi oppi­dum quarto milliario est Turris maior castellum duodecim milibus a Fortorio rece­dens: et supra totidem milibus a Turri maiore abest Castellutium oppidum, unde parvo distat spatio mons Rotanus: et supra est Cellentia, post oppidum sanctus Marcus: inde Vulturaria: et proxime sancti oppidum quod dicitur Gaudij: supraque id est Rossenum, superius Fortorij amnis fonti mons Falco castellum est proximum.

Blondi Forliviensis Italiae illustratae Finis.

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Regione Quattordicesima. Puglia.

[421 A] Dopo che sopra abbiamo concluso la descrizione della regione dei Sanni­ti alla destra del fiume Tiferno [Biferno], si doveva passare alla sinistra del medesi­mo fiume e iniziare a descrivere la Puglia che lì comincia: ma siamo stati obbligati a descrivere prima la Campania che, come è stato mostrato, è unita al Sannio. Perciò, terminata la Campania, bisogna tornare alla Puglia. Tolemeo divide in due parti quella regione, che ha preso il nome da un condottiero omonimo, sicché considera che Apuli siano i Dauni e i Tiferni fino alla città di Bari, e da qui in poi i Peucezi fino ai Salentini[2]. Servio, in verità, commentando le parole di Virgilio nell’ottavo libro, Diomedis ad urbem, così scrive: Diomede prese possesso di alcune parti d’Apulia, e dopo che ebbe sottomesso tutte le popolazioni del monte Gargano, in quello stesso territorio fondò molte città: Benevento, Equitucium, Arpi, detta anche Argirippa; in realtà, la parte della regione nella quale Virgilio dice che fu mandato Messapo è detta Messapia, e Peucezia è così detta dal fratello, come Daunia è così detta dal re Dauno[3].

Sarebbe laborioso esporre gli avvenimenti d’Apulia: ne toccheremo alcuni som­mariamente secondo il nostro costume. Gli Apuli furono noti ai Romani per la guer­ra [421 B] prima che per l’amicizia. Dice appunto Livio nell’ottavo libro che al tem­po dei consoli C. Sulpicio e Q. Emilio, alla defezione dei Sanniti venne ad aggiun­gersi una nuova guerra d’Apulia, il cui territorio sarebbe stato allora devastato[4]; e, nel libro nono, che il console Publilio, recatosi in Apulia, con un certo numero di spedizioni o sottomise le popolazioni con la forza o le accolse con dei patti nell’al­leanza[5]. E più avanti: una volta che le cose in Apulia presero quella piega, anche gli Apuli Teatini si recarono dai nuovi consoli, C. Iunio Bubulco e Q. Emilio Barbula, per chiedere un trattato, come artefici di una pace che in tutta l’Apulia avrebbero ga­rantito al popolo Romano. Facendo questa audace promessa, ottennero che il trat­tato fosse concesso, non però su un piano di parità, ma a condizione che fossero sotto l’autorità del popolo Romano. E così l’Apulia fu interamente sottomessa[6]. E ancora, nel libro decimo [ma: XXXIX]: in quell’anno vi fu in Apulia un grande moto servile. Il pretore L. Postumio aveva la giurisdizione sul territorio di Taranto; costui, in occasione di concertati disordini dei pastori, che avevano infestato le strade e i pascoli pubblici con atti di brigantaggio, istruì i processi con durezza, condannò cir­ca settemila uomini, per cui molti fuggirono e a molti fu inflitto il supplizio[7].

Le prime città degli Apuli a sinistra del Tiferno sono Campomarino, sulla costa; nell’interno, a dieci miglia, la nuova città di Larino che ha sostituito l’altra antichis­sima dello stesso [421 C] nome, diroccata, a circa due miglia di distanza. Di questa parla Livio nel libro ventiduesimo. Dopo avere descritto la fuga di Annibale dall’agro Falerno, così scrive: Annibale volse la sua marcia dai Peligni e, riattraversando in senso contrario l’Apulia, giunse a Galerano; nei pressi della città il condottiero trin­cerò i suoi accampamenti nell’agro Larinate[8]. E Cesare, nel Commentario: quindi Cesare, avendo indugiato in tutto sette giorni davanti a Corfinio, attraversando i territori dei Marrucini, dei Frentani e dei Larinati, giunse in Apulia[9].

A quattro miglia, oltre le rovine dell’antica Larino, vi è la città di Casacalenda, cui son vicine, a circa due miglia, le rovine della città antichissima di Gerione, su cui Li­vio nel libro ventiduesimo: mentre la guerra con l’inverno ormai imminente si atte­stava attorno a Gerione, giunsero a Roma ambasciatori Napoletani[10]. E più avanti: quanto a lungo combattè per Gerione, una cittadella sguarnita d’Apulia, altrettanto combattè per le mura di Cartagine[11].

Più sopra [di Casacalenda]: Iovenisco, Morrone [Morrone del Sannio], Castel di Lino [Castellino del Biferno], Petrella [Petrella Tifernina], Monte Sagano [Montaga­no], patria del famoso condottiero di milizie Jacopo[12] che da essa prende il cogno­me. Quindi Coatta, Rocchetta [Roccaspromonte o località La Rocca?], Ratino [Orati­no], Busso, Baranello, Vinculatorio [Vinchiaturo], che dista cinque miglia da Boviano [Boiano] e dalla sorgente del fiume Tiferno. In mezzo ai monti, lungo il tratto che va dal mare fino a Boviano, quattro miglia a sinistra di Monte Sagano, c’è [421 D] Cam­pobasso, dalla qual città i conti di Campobasso traggono origine ed anche il cogno­me. Carlo guidò le loro milizie lodandone la perizia e il valore[13].

Dal Tiferno poi, sulla costa, il fiume ora chiamato Fortore dista venti miglia. Que­sto fiume si versa in mare vicino al lago di Lesina dopo un percorso di quaranta mi­glia intorno. La città di Lesina, che dà il nome al lago e gli è vicina un miglio, dista quattro miglia dal mare. Nell’interno poi, quattro miglia sopra Lesina, un miglio cir­ca dal fiume Fortore, su un erto colle, vi è la città di Serracapriola, che si distingue in quella contrada. Più sopra vi sono città e castelli: San Giuliano [San Giuliano di Puglia], Colletorto, Macchia [Macchia Val Fortore], Pietra di Cratello [Pietracatella], Campodipietra, Geldono [Gildone], e in cima Circo Maggiore [Cercemaggiore] nei cui pressi nasce il fiume Fortore. A sinistra poi del Fortore la cittàdi San Nicandro [Sannicandro Garganico], distante cinque miglia dal mare, si affaccia sul lago di Le­sina verso quella parte che è vicina al monte Gargano. Più all’interno la cittàdi For­cina [Apricena] dista dal Fortore quindici miglia, due miglia dalle radici del monte Gargano; e sei miglia sopra Forcina la cittàdi San Severo dista sedici miglia dal For­tore e sei dal Gargano.

Ma prima di procedere oltre, descriviamo il monte Gargano, notissimo per la fa­ma dell’antico e del presente nome [monte Gargano – monte Sant’Angelo]. Esso si estende, fino alle ultime radici che vanno a finire nella pianura, per un circuito di duecento miglia. [422 E] Dunque, nella parte rivolta ad occidente, verso il fiume Fortore, su una insenatura del mare Adriatico, c’è il lago di Varano, compreso in un circuito di trenta miglia. Intorno a questo lago sorgono i castelli di Caprino [Carpi­no], Cognato [Cagnano Varano] e Sitella [Ischitella]; e dalla parte in cui lo stesso monte sporge in mare, la città di Rodi [Rodi Garganico], come ora la chiamano, oc­cupa la parte bassa. Questo stesso promontorio e la città Tolemeo e Plinio, e tutti gli altri antichi li chiamavano Tirio[14]. Sopra vi è la città di Vico [Vico del Gargano]; e ancora più su, la famosa città di Sant’Angelo [Monte Sant’Angelo] occupa la som­mità del monte, e da essa lo stesso monte attualmente prende per lo più il nome. Essa è ornata da un santuario[15], ragguardevole non solo per edifici ed ogni altro arredo, ma soprattutto per la sua stessa venerazione, santuario che le genti di tutta la Cristianità perennemente frequentano in grandissima folla per implorare la inter­cessione dell’arcangelo Michele presso nostro Signore.

Nella parte in cui il Gargano guarda ad oriente, vi è una città fornita di un buon porto, chiamata ora Bestia [Vieste] ma anticamente Vestice, donde abbiam detto nelle Storie che il papa di Roma Alessandro III, aiutato da Guglielmo II re dei Nor­manni, salpò con [422 F] tredici galereper Venezia per concludere la pace con il pessimo imperatore Federico I[16]. In quello stesso luogo, dato che c’è il secondo promontorio del Gargano, Tolemeo afferma che finisce il bacino del mare Adriatico e ha inizio il mare Ionio. Egli dice anche che l’isola di Diomede, trenta miglia al largo dalla regione Garganica, è vicinissima. Questa è l’isola della quale sant’Agostino nel De civitate Dei dice certe cose alle quali, pur essendo state proprio da lui trascritte, chiunque potrà attribuire il credito che vorrà, tenuto conto della autorità dell’auto­re: dicono dunque che Diomede fu fatto dio e che i suoi compagni furono trasfor­mati in uccelli, e lo dicono non come una invenzione favolosa e poetica ma a mo’ di testimonianza storica. Che anzi dicono anche che un suo tempio si trovi sull’isola di Diomede, non lontano dal monte Gargano, e che quegli uccelli volano attorno al tempio e lo tengono con tanto mirabile venerazione che attingono acqua e lo aspergono; e che se vi arrivano dei Greci, o gente di stirpe greca, non solo stanno tranquilli ma pure gli volano sopra, mentre se vedono degli stranieri si alzano in vo­lo rasenti la testa con colpi violenti tanto che dicono anche che li feriscono; infatti, secondo la leggenda, erano armati di rostri duri e grandi abbastanza per queste zuf­fe[17].

Quell’isola è chiamata Trémiti; e quel [422 G] tempio di Diomede, come si può vedere, lo abitano ora i religiosi detti Canonici Regolari[18], i quali, qui come a Vene­zia, come abbiam detto, li ha favoriti e accresciuti il glorioso papa Eugenio IV[19]: la loro austerità e santità di vita è per tutti motivo di grande ammirazione, dato che sono ospitali e munifici con tutti i forestieri, e da nessun pirata, nemmeno dal più scellerato, di qualunque razza e nazione, hanno finora ricevuto alcuna offesa. Noi abbiamo sentito raccontare da alcuni di loro che sull’isola vi sono molti di quegli uc­celli che ancora si chiamano di Diomede, della grandezza di un’oca, ma sono del tutto innocui per chiunque e non osservano alcuna forma di dedizione nei confronti loro o del tempio.

Sul monte Gargano, Virgilio e Servio hanno alcune notizie che al massimo grado contribuiscono alla conoscenza dell’intera Puglia. Infatti, mentre Virgilio nel nono [ma: XI] libro dice: Gargani condebat Iapygis arces, Servio commenta: Iapigia è una parte d’Apulia nella quale vi è il monte Gargano, che si protende fin nel mare Adria­tico. Anche Lucano dice: l’Apulo Gargano finisce fra gli Adriatici flutti.

Del monte Gargano e delle città circostanti si impadronirono i Saraceni al tempo di Grimoaldo re dei Longobardi, poco dopo l’anno 700 d.C.; lo stesso re poi li cacciò salvaguardando ovunque le comunità [422 H] dei Cristiani[20], tanto che, nei due­cento anni del loro regno[21], mai i Longobardi avevano reso all’Italia un tale servigio. Più o meno cento anni dopo, l’imperatore, e re dei Franchi, Carlo Magno[22], dopo avere cacciato via i Saraceni che opprimevano il Gargano, fu pacificamente signore di tutte le terre che si frappongono dallo stesso Gargano fino a Cordova città della Spagna.

Ma prima che io passi a descrivere le terre esposte al mare dopo il monte Gar­gano, descriverò altre, quelle che presi a descrivere attorno al fiume Fortore. Oltre la città di San Severo, a quattro miglia, c’è il castellodi Torremaggiore, lontano do­dici miglia dal Fortore; e oltre, ad altrettante miglia da Torremaggiore, c’è la città di Castelluccio [Casalnuovo Monterotaro o Casalvecchio di Puglia], donde poco è di­stante il monte Rotano [monte Rotaro]; oltre ancora c’è Cellentia [Celenza Val For­tore], poi la cittàdi San Marco [San Marco La Càtola] quindi Vulturaria [Volturara Appula], e, vicinissimo, la cittàdetta di San Gaudio [San Bartolomeo in Galdo], oltre c’è Rosseno [Roseto Val Fortore?], e più in là della sorgente del fiume Fortore è vici­nissimo il castellodi Montefalco [Montefalcone di Val Fortore].

Fine dell’Italia Illustrata di Biondo da Forlì.

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[1][1] Cf. D. Valli, Catalogo della Biblioteca “Siciliani” di Galatina, Firenze 1979, pp. 124-125 nrr. 345-347.

[2] Tolemeo, Geografia III, 1, 13-16.

[3] Servio, commento a Virgilio, Eneide VIII, 9.

[4] Livio VIII, 37, 1-6. C. Sulpicio Longo e Q. Aulio (o Emilio: Livio VIII, 37, 3) Cerretano furono consoli nel 323 a.C.

[5] Livio IX, 15, 2. Gli avvenimenti e il consolato di Q. Publilio Filone si riferiscono all’anno 320 a.C.

[6] Livio IX, 20, 7-9. C. Iunio Bubulco Bruto e Q. Emilio Barbula furono consoli nel 317 a.C.

[7] Livio XXXIX, 29, 8-9. L. Postumio Tempsano, pretore nel 185 a.C., represse i moti servili-pasto­rali in Puglia, probabilmente connessi con i movimenti bacchici contro i quali fu emanato il senatus consultum de Bacchanalibus nel 186 a.C.

[8] Livio XXII, 18, 7 (anno 217 a.C.).

[9] Cesare, Bellum civile I, 23, 5: sosta di Cesare a Corfinio dopo l’assedio e la conquista della città schierata con Pompeo (all’inizio del 49 a.C.).

[10] Livio XXII, 32, 4 (anno 217 a.C.).

[11] Livio XXII, 39, 16(anno 216 a.C.).

[12] I Montagano, signori feudatari nel Molise, sono noti come condottieri di milizie. Nel 1250 Leone Montagano si metteva al servizio del re svevo Manfredi (1254-1266) giunto a Taranto; Fran­cesco Montagano (morto nel 1450), partecipò alle guerre che portarono alla affermazione degli Aragonesi nell’Italia meridionale; Jacopo Montagano (morto nel 1477) fu al servizio di Alfonso V d’Aragona, alias Alfonso I re di Napoli (1452-1458) e del duca Giovanni d’Angiò (1427-1470).

[13] Credo che qui Biondo si riferisca a Carlo I d’Angiò (1226-Foggia 7 gennaio 1285, re di Sici­lia/Napoli dal 1263) e alle battaglie vinte contro Manfredi a Benevento (26 febbraio 1266) e contro Corradino di Svevia a Tagliacozzo (23 agosto 1268), che determinarono la fine del regno svevo in Si­cilia e l’inizio di quello angioino.

[14] Uria Garganica?

[15] Dalla fine del V secolo, il santuario si sviluppò su un sito cultuale di tipo salutare frequentato già in età classica. Paolo Diacono, Historia Langobardorum IV, 46, ricorda una incursione di «Greci» (non Bizantini, ma pirati orientali) contro il santuario e l’intervento di Grimoaldo I duca di Beneven­to (nel 647), che già denota il patronato dei Longobardi sul santuario. Lo stesso Grimoaldo assegnò il santuario a Barbato vescovo di Benevento. Particolarmente venerato dai Longobardi, il santuario fu saccheggiato dai Saraceni nell’869.

[16] Alessandro III (Rolando Bandinelli: Siena ?-Civita Castellana 30 agosto 1181, papa dal 1159), fu teologo e canonista di fama. Successore di Adriano IV, proseguì la politica antiimperiale scomu­nicando Federico I Barbarossa (1125 circa-1190) che gli contrappose gli antipapi Onorio IV (1159-1164) e Pasquale III (1164-1168). Dopo la vittoria del Barbarossa su Milano (marzo 1162), Alessan­dro III si rifugiò in Francia presso il re Luigi VII (1137-1180). Sostenne la Lega Lombarda contro l’im­peratore, che dopo la sconfitta di Legnano (29 maggio 1176) si piegò alla autorità papale. Gli ac­cordi di Anagni furono sanzionati dalla pace di Venezia (21 luglio 1177) con la sottomissione pub­blica del Barbarossa ad Alessandro III davanti alla basilica di San Marco. Nel conflitto con Enrico II d’Inghilterra (1154-1189) per il mantenimento dei privilegi ecclesiastici, conflitto aggravato dalla uccisione dell’arcivescovo Thomas Becket nella tedrale di Canterbury (1163), Alessandro III tenne un atteggiamento prudente ma fermo, imponendo al re una penitenza pubblica e la revoca delle norme limitative dei privilegi ecclesiastici. Nel terzo Concilio Lateranense (1179) ottenne la condan­na delle eresie catare.

Guglielmo II (1166-1189, re Normanno detto il Buono), fu alleato del papa Alessandro III e della Lega Lombarda contro il Barbarossa. La sua sconfitta a Carsoli (10 marzo 1176) fu bilanciata dalla vittoria della Lega Lombarda a Legnano e dalla pace di Venezia. La pacificazione fra il papa e l’impe­ratore, comunque, indebolì Guglielmo II e lo emarginò dalle vicende dell’Italia. Assediò Alessandria (1174) e prese Tunisi (1175), fallì una sua spedizione contro l’Impero bizantino (1185), partecipò alla terza Crociata (1187-1188).

[17] Agostino, De civitate Dei XVIII, 16.

[18] I Canonici Regolari di Sant’Agostino, dal IV fino alla metà dell’XI secolo, furono sottomessi all’autorità dei vescovi. La prima regola dell’ordine fu opera di Crodegango vescovo di Metz (742-746); nel sinodo di Aquisgrana (816) fu introdotta una nuova regola che consentiva la proprietà pri­vata: ciò portò alla disgregazione del principio della vita e dei beni in comune. Con le riforme di Cle­mente II (1046-1047) l’ordine fu posto sotto l’autorità papale, e nel sinodo Lateranense del 1059 la regola di Aquisgrana fu riformata secondo i principi originari della vita in comune.

[19] Eugenio IV (Gabriele Condulmer: Venezia 1383-Roma 1447, papa dal 1431), successore di Martino V Colonna. Per gli aspri conflitti con i Colonna, fu costretto a lasciare Roma (1434), dove poté tornare nel 1443 dopo la pace con Alfonso V d’Aragona di cui aveva a lungo contrastato l’asce­sa al Regno di Napoli. In conflitto con il concilio di Basilea (1431-1443), nell’anticoncilio di Bologna-Ferrara-Firenze (1431-1439) Eugenio IV concordò con l’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleo­logo (1425-1448) la riunione delle Chiese d’Oriente e d’Occidente, che gli procurò grande prestigio e gli agevolò il rientro a Roma (1443). Proclamò una Crociata (1443) che trovò scarso séguito. Fu molto attivo nella riforma della Chiesa e degli ordini religiosi, che Biondo seguì da vicino. Negli anni della permanenza a Firenze la curia era venuta a contatto con la cultura umanistica; il concilio di Bologna-Ferrara-Firenze rappresentò un momento decisivo per lo studio del greco e della cultura greca.

[20] Grimoaldo I, duca di Benevento dal 647, divenne re dei Longobardi (662-671) approfittando delle lotte tra i fratelli Pertariato e Godeperto (Paolo Diacono, Historia Langobardorum IV, 46 e 51; V, 1-33); Grimoaldo II fu duca di Benevento dal 687 al 689: pertanto o l’indicazione cronologica del Biondo non è esatta, oppure altri ha compiuto l’impresa di cacciare i Saraceni dal Gargano poco do­po il 700. La data indicata dal Biondo coincide invece con l’età di Romoaldo II, duca di Benevento fra il 706 e il 731. Gli interventi a difesa dei Cristiani sono indizio del nuovo atteggiamento assunto dai Longobardi del ducato di Benevento dopo la conversione dall’Arianesimo al Cattolicesimo. L’opera di conversione fu condotta da Barbato vescovo di Benevento e da Teodorada moglie di Ro­moaldo I (duca di Benevento fra il 671 e il 687): ne seguirono il patronato longobrdo dei centri reli­giosi e una intensa attività di fondazioni di chiese e monasteri nell’Italia meridionale, fra cui la cele­bre abbazia di San Vincenzo al Volturno.

[21] Dal 568-569 al 774, da Alboino ad Adelchi. Dal 774 Carlo Magno si proclama rex Francorum et Langobardorum.

[22] Mentre scriveva queste parti finali dell’Italia illustrata, Biondo nella primavera del 1452, a Napoli, tenne un discorso davanti ad Alfonso V d’Aragona e a Federico III per sollecitare la lotta co­mune contro i Turchi; l’anno dopo, caduta Costantinopoli in mano ai Turchi (29 maggio 1453), indi­rizzò allo stesso Alfonso d’Aragona il discorso De expeditione in Turchos. In questi scritti Carlo Ma­gno rappresenta per Biondo il restauratore dell’impero Romano nella unità dei Cristiani, come pure il modello dell’impegno e della unità d’intenti a difesa della Cristianità.

[Tratto, con aggiornamenti, da M. Girone – F. Ghinatti (edd.), Puglia di ieri Puglia di oggi, Bari 2001, pp. 407-429.]

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