di Biagio Virgilio
Flavio Biondo (Forlì 1392-Roma 1463), umanista entrato a far parte del circolo di Guarino Veronese (1374-1460), dopo avere svolto gli incarichi di segretario per le città di Treviso, Venezia, Vicenza, Brescia, per la sua Forlì e per la Marca d’Ancona, ricoprì i più alti uffici della cancelleria pontificia a Roma (e a Firenze nel 1434-1443, nel periodo del forzato trasferimento fiorentino della sede papale): fu Notaio della Camera Apostolica (dal 1432), Segretario Apostolico (dal 1434) e Scrittore delle Lettere Apostoliche (dal 1436), diventando quindi uno dei più stretti e influenti collaboratori del papa Eugenio IV (1431-1447) e svolgendo missioni diplomatiche al più alto livello. Non gradito al successore Niccolò V (1447-1455), Biondo lasciò temporaneamente la curia romana ed entrò in rapporti con Alfonso V d’Aragona, alias Alfonso I re di Napoli (1442-1458): a lui presentò nel 1451 una parziale redazione dell’Italia illustrata; di fronte a lui nel 1452 pronunciò un discorso per sollecitare la lotta comune contro i Turchi e l’anno dopo, caduta Costantinopoli, ad Alfonso nuovamente indirizzò un’orazione analoga, De expeditione in Turchos. Nel 1453 Biondo fu reintegrato nel suo ufficio presso la curia romana, ma non godette più dell’influenza e del prestigio di un tempo.
Del 1435 è l’epistola De verbis romanae locutionis, indirizzata al grande umanista Leonardo Bruni (1370-1444), nella quale Biondo, riprendendo una disputa avviata fra i Segretari Apostolici nell’anticamera fiorentina di Eugenio IV, sosteneva che il latino letterario era stata l’unica lingua di Roma antica. L’epistola del Biondo e l’immediata risposta del Bruni, che invece sosteneva la distinzione fra il latino dei dotti e un latino volgare, daranno origine aigli opposti schieramenti dei maggiori umanisti sulla questione della lingua degli antichi Romani. Fra il 1438 circa e il 1453 Biondo compose un’opera storica di vasto respiro, Historiarum ab inclinatione romani imperii decades (dal sacco di Roma di Alarico, datato nel 412 anziché nel 410, ai suoi giorni), nella quale la distribuzione in “decadi” richiama la analoga distribuzione della storia romana Ab urbe condita di Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.). Nelle Historiae di Biondo, la grandezza dell’antico impero romano è un punto obbligato di paragone, e dalla caduta dell’impero romano nel 476 d.C. Biondo introduce nella sua storiografia il concetto di Medioevo durato fino ai suoi tempi. È pure ovvio, nelle Historiae, il favore per la Chiesa nelle lotte contro gli imperatori germanici. L’opera, ripresa dal Biondo negli ultimi anni della vita col proposito di rielabolarla e completarla, rimase interrotta a causa della morte.