Guido Viale, allora dirigente di Lotta continua a Torino, rievoca quei tempi non senza una certa nostalgia, ma soprattutto col proposito di non dimenticare niente, ovvero di dire come stanno le cose e ristabilire la verità. E già: perché quella di Lotta continua è una bella storia, fatta di coraggio e di amicizie, di lotte e di solidarietà, di anelito verso il meglio e di denuncia della durezza delle condizioni di lavoro proprie della catena di montaggio; una bella storia che Viale, e con lui i numerosi militanti, conservano nella memoria come essenziale nella formazione intellettuale e morale della loro personalità, irrinunciabile. Ecco come l’autore sintetizza il senso di quell’esperienza: “… quello che ha formato e tenuto insieme Lotta continua, e che ancora adesso irrita o intriga amici e nemici a distanza di decenni … sono state l’amicizia e la fiducia reciproca tra persone dall’origine e dal destino più diverso. … un’amicizia e una fiducia formatesi e confermate in un’esperienza comune di qualcosa di raro e straordinario: l’esperienza della conquista della propria autonomia, sia individuale che collettiva; l’esperienza della costruzione di una propria dignità umana attraverso l’azione e l’assunzione, senza deleghe, delle proprie responsabilità; l’esperienza della scoperta di una socialità libera, al di fuori degli schemi ufficiali, sia del governo che dell’opposizione : cioè sia della cultura accademica che di quella della sinistra ufficiale, sia della gerarchia di fabbrica che di quella sindacale, sia del potere istituzionale che della cosiddetta tradizione del movimento operaio.” (p. 84).
Una bella storia, dunque, ma finita male. Gli apparati deviati dello Stato non potevano tollerare la presenza fastidiosa di un movimento extraparlamentare, i cui esponenti indagavano sulla strategia della tensione voluta da quegli apparati, a partire dalla strage di Piazza Fontana (1969), col fine preciso di impedire il normale svolgimento politico della vita della Repubblica. Una bella storia stroncata in pochi anni, che però si è trascinata a lungo nelle aule dei tribunali di mezza Italia, dove si sono celebrati i processi a carico di Sofri, Bompressi e Pietrostefani per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi (1972).
Il libro di Viale è diviso in due parti: nella prima v’è la storia di Lotta continua dalla nascita allo scioglimento avvenuto nel congresso di Rimini del 1976, un evento, quest’ultimo, traumatico per molti militanti della sinistra rivoluzionaria, che improvvisamente si videro privati della loro famiglia politica; la seconda parte è dedicata all’omicidio Calabresi e al lungo processo contro Lotta continua, un processo pretestuoso e ingiusto, mirato a porre fine al dissenso. Forse in Italia la lotta armata (gli anni di piombo) non ci sarebbe stata se, anziché reprimere il dissenso, lo Stato avesse avuto la premura di capirne le ragioni e di trovare le soluzioni democratiche ai problemi dell’epoca. Ma Gladio, la P2, la Cia erano lì, pronte ad impedire tutto questo. Non c’è nulla da dimenticare, dunque, di quegli anni lontani. Certo, nelle scuole se ne parlerà fra cent’anni, e forse più, come di tutta la storia degli ultimi cinquant’anni, il cui studio, chissà perché, provoca sempre un grave imbarazzo nei professori, e allora è meglio lasciar perdere e chiudere il programma col secondo dopoguerra. Fra cent’anni, quando il libro di Guido Viale sarà riaperto, e gli studenti potranno leggerlo, la storia di Lotta continua apparirà come un tentativo bello e appassionato di cambiare il mondo, durato poco e purtroppo miseramente fatto fallire.
[“Il Galatino” anno LVI – n. 9 – 5 maggio 202, p. 6]