Anche a Galatina, un largo comprensorio di terreni annesso alla Chiesa degli Olivetani (San Biagio) e dal popolo soprannominata Bianchini, per il colore del saio indossato da quei monaci, è stato alienato come un lotto dell’asse ecclesiastico. Questo lotto dopo il 1868 è stato acquistato dai Mezio, il cui cognome, per l’estinzione della famiglia gentilizia di origine albanese, rivive oggi per vincoli di sangue in un ramo dei Galluccio. Si tenga conto che, alimentati anche dal Vaticano che non si è stancato di fulminare scomuniche contro gli acquisti dei beni, nella liquidazione dell’asse ecclesiastico gli scrupoli religiosi sono stati un’arma potente per tenere lontani dalle aste i contadini, ma non i borghesi “credenti” che, invece, hanno ben saputo servirsi dei pregiudizi religiosi delle masse per porre mano su un’ingente quantità di terra ed integrare così il proprio patrimonio. In questo modo a Galatina, dopo il 1860, la classe proprietaria del capitale assume le caratteristiche di un blocco agrario che si identifica in una forma istituzionale di Stato, che esercita un vero e proprio ruolo di governo; alle istitutizioni dello Stato, municipio, provincia, prefettura, questura e tribunali, quella classe si aggancia come una piovra a mezzo dei suoi rampolli che riescono a conquistare una professione liberale, o per la più facile via degli intrallazzi.
Inoltre, per impulso delle attività connesse all’allevamento del bestiame, sorge e si consolida un ceto artigiano fatto di conciapelli (i Marrocco, i Sabella, i Tondi, i Vallone) esperti nell’uso del tannino che ha la proprietà di trasformare la pelle in cuoio, in modo che non si corrompa e diventi, invece, solida e pieghevole.
Accanto a questo ceto vi sono stati gli artigiani del fiscolo (i Marra, i Congedo ed altri), esperti nella fabbricazione di saccocce di fibre vegetali usate rispettivamente nei frantoi e negli stabilimenti vinicoli durante la lavorazione delle olive e dell’uva.
2. Origine rurale dell’intellettuale galatinese
Ma la classe numericamente prevalente a Galatina è stata quella dei contadini piccoli proprietari. Gaetano Salvemini li ha così definiti: “Il pezzo di terra, la moglie, i figli, l’asino: ecco il loro mondo”. Da questa classe, alla fine del secolo scorso, si sono staccati alcuni elementi intraprendenti, che hanno preso a gabella dai proprietari il latifondo e ne hanno coltivato in proprio alcuni lotti, ed altri hanno invece ceduto a dei coltivatori. Essi hanno così intascato la differenza fra il fitto pagato dai coltivatori e quello che essi hanno pagato ai proprietari. E’ nata così a Galatina una nuova classe, una piccola e medio-borghesia di estrazione contadina piuttosto numerosa.
Questa classe si è sviluppata in modo omogeneo, soltanto per una prerogativa: la subordinazione, talora espressa come atto doveroso, agli intellettuali. Questo atteggiamento è dettato dall’aspettativa che all’intellettuale sia legato e da esso dipenda lo sviluppo organico della propria classe. L’avvocato, il notaio, il professore, il medico, l’ingegnere, diventano elemento mediatore dal quale il raggruppamento contadino pretende di essere messo in contatto con l’amministrazione statale o locale, con i centri del potere. In altri termini l’intellettuale si prefigura come il modello sociale cui si aspira per uscire dalla propria condizione e migliorarla, e dal contatto con esso si attende un incremento del proprio status.
Non si scende a mestieri manuali, non ci si dedica alla piccola industraia o al commercio locale, ma si prende la via degli studi. Ed ecco la presenza del medico specialista o del medico condotto o dell’ingegnere in molte famiglie del ceto contadino della nostra città, anche se stenti, amarezze, privazioni e lotte perenni contro il bisogno sono stati pagati per impedire la deminutio che il figlio di buona famiglia diventi calzolaio o bracciante ovvero, come spesso è accaduto, per acquistare l’onore di avere in famiglia il figlio medico, ingegnere o avvocato accanto al cadetto bracciante o calzolaio.
Nonostante tutto rimane in questi nuclei sociali qualcosa di primitivo e di rozzo che richiama l’antico gruppo consanguineo della comunità naturale. Quasi nuclei unifamiliari che abbiano raggiunto la massima estensione, questi raggruppamenti sociali si costituiscono in una forma di comunità allargata, veri e propri agglomerati urbani. Questa piccola e media borghesia galatinese è stata valorizzata dalla prima guerra mondiale, in quanto lo stato l’ha prima militarizzata e poi burocratizzata. Ad esponenti di questa classe, difatti, è stato affidato nelle caserme, nelle trincee del fronte e talora nelle città, il governo di masse di uomini. Quindi si è dovuto dar loro uno stipendio da indispensabili ed insostituibili. Soltanto nel secondo dopoguerra le nuove generazioni hanno fondato e trasferito in nuovi quartieri cittadini nuove comunità domestiche, forti del nuovo status acquisito sin dalla fine del primo conflitto mondiale.
Questa borghesia piccola e media a Galatina si è poi allargata ai piccoli esercenti ed agli artigiani che hanno servito il consumo locale, ai bottegai, ai sarti, ai calzolai ed ai muratori e ai falegnami, individualisti per eccellenza e divisi dalla concorrenza, e facilmente corruttibili per il condono di una multa o di una contravvenzione, o per una fornitura municipale o per una concessione di un suolo pubblico.
Lo sbocco di questa piccola e media borghesia cittadina nella sua ultima incarnazione politica è stato il fascismo, e nel fascismo essa ha mostrato la sua subordinazione al capitalismo ed alla proprietà terriera, tanto è vero che a Palazzo Orsini, durante il ventennio fascista, hanno tenuto il potere i Vallone e i Galluccio, i Bardoscia ed i Colona, i Venturi e gli Ancora, cioè l’alta borghesia agraria, ma non i medi e piccoli elementi borghesi di Galatina. Agli intellettuali è sfuggito il ruolo centrale fra sapere e potere nel governo delle strutture della comunità cittadina, ruolo che, lungi dal privilegiare interessi individualistici, professionali o di altra natura, poteva essere finalizzato al potere non fine a se stesso ma per il rinnovamento della vita cittadina. Forse sta qui la ragione per cui gli intellettuali si sono sempre sentiti aduggiati dal senso oscuro di una dignità resa precaria dalla loro origine rurale.
Il nucleo più omogeneo di essi lungo gli anni dal Trenta al Sessanta si riunisce la sera nella frigorifera, un locale in via Cavoti, della cui origine come posto di vendita di generi alimentari restavano tracce nelle pareti disadorne, nella suppellettile e nel nome. Animano il raduno ogni sera il professor Anacleto Romano, fine spirito di letterato, il Preside Pantaleo Duma, dotto filologo classico, e l’avvocato Gaetano Congedo, un gentiluomo decaduto dall’antica agiatezza, ma assiduo ed accanito lettore, fino alla vecchiaia, degli scritti di Antonio Salandra, alla cui memoria ed indirizzo politico è rimasto sempre fedele. Inoltre qualche libero professionista ed impiegato e maestro elementare si danno convegno nel locale. In occasione delle prediche quaresimali la maggior parte di essi, e primi fra tutti il prof. Romano ed il Preside Duma, si procurano nella vicina Chiesa Madre un posto a sedere antistante il parapetto del pulpito. Questo comportamento – che è una costante della cultura meridionale in generale e galatinese in particolare – implica una concezione del sapere vincolato all’auctoritas ed alla traditio, ad un mondo, cioè, al quale il Dio vero ha parlato e le Scritture hanno fermato la sua parola, e la Chiesa le tramanda con la tradizione dei suoi Dottori, dei suoi Padri e dei suoi predicatori, e di chi li ascolta. Per questi intellettuali non è e non deve essere un problema farsi carico di portare alla luce i vari livelli di coscienza, le forme di consapevolezza delle classi popolari, indicare i nuovi bisogni che emergono nel processo di socializzazione della prassi politica. L’intellettualità cittadina è di origine umanistica, e la finalità fondamentale della concezione umanistica è la formazione dell’intellettuale apolitico e per così dire apolide, ospite dei suoi libri. Questa conquista del pensiero contro il dogmatismo medievale e cattolico, è diventata pericolosa per la stessa essenza della libertà e per la stessa vita morale dell’intellettuale in quanto costui, apolitico, si è trovato inefficiente ed impotente contro le forze distruttrici della libertà medesima.
A Galatina, difatti, quando si è acutizzata la crisi, per esempio all’epoca della reazione umbertina alla fine del secolo scorso ed alla vigilia e durante il fascismo, l’intellettuale galatinese non ha saputo prendere posizione, se non in casi isolati, e per forza della propria personalità (alludiamo al dott. Paolo Vernaleone, all’avv. Carlo Mauro), e non in quanto il prender posizione sia rientrato naturalmente nel suo ufficio di intellettuale. Il dotto galatinese non ha mai contrastato gli orrori, le violenze e le ingiustizie perpetrate da coloro che, mentre da un lato si sono proclamati salvatori della civiltà, dall’altro hannno agito in modo antiumanistico ed antiintellettuale. Distaccatisi dalle masse, e gelosi della propria intangibile personalità, i dotti sono poi generalmente entrati a far parte di quella piccola e media borghesia che, più debole e più informe delle altre categorie sociali, sospesa sempre fra il timore di ricadere nella massa proletaria, e l’invidia verso gli strati borghesi più alti, più facilmente è finita preda di suggestioni avventurose, e contemporaneamente è stata più docile a divenire strumento di corruzione e di dispotismo, corrompendosi per prima essa stessa.
Il concetto di “signore” – indipendente dalla potenzialità economica e vera definizione di casta – ha determinato un disagio profondo nella media borghesia, ed un’inerzia da parte dei “signori” di nascita e non più di fortuna, che li tiene lontani dal partecipare al lavoro ed alla vita economica della città, e provoca una smania nella piccola borghesia di apparire appartenente alla classe alta. Ne è derivato un equivoco che ha appesantito la vita cittadina, l’ha resa fiacca ed insincera, e su questo equivoco ha lavorato ampiamente il fascismo. Così il ceto intellettuale galatinese ha perduto il contatto con la realtà dei problemi che decidono della vita e dell’avvenire della comunità cittadina. E noi pensiamo soprattutto all’incrollabile psicologia dei contadini, nell’epoca antecedente il primo conflitto mondiale, quando la preoccupazione maggiore della loro vita è stata quella di difendersi corporalmente dalle insidie della natura elementare, e talora dai soprusi dell’agrario e dei funzionari pubblici. Tenace e paziente nella fatica individuale per strappare scarsi frutti alla roccia, disposto ad inauditi sacrifici nella vita familiare, il nostro contadino è vissuto sempre fuori del dominio della legge, senza individualità morale e personalità giuridica, come elemento anarchico in preda alla paura del carabiniere e del diavolo, incapace di comprendere l’organizzazione e lo Stato, la disciplina. Ecco un campo immenso dove l’intellettuale galatinese non ha arato. Eppure non può essergli sfuggito che il censimento sull’analfabetismo in Puglia nel 1911 ha registrato la percentuale del 59% superata soltanto dalla Basilicata (65%) e dalla Calabria (70%), di fronte all’11% del Piemonte ed il 13% della Lombardia. A Galatina gli analfabeti sono stati soprattutto presenti fra i braccianti ed i pastori, in conseguenza della legge 15 luglio 1906, detta del Mezzogiorno, la quale istituisce nuove scuole soltanto in piccole frazioni rurali dove la popolazione è sparsa, mentre, come in moltissimi centri della Puglia, a Galatina essa vive agglomerata in strutture urbane. Queste classi subalterne sono rimaste legate a certi simboli tipici ed a certi schemi mentali (si pensi al tarantismo ed alla iettatura, alle pratiche magiche ed ai riti esorcistici), avanzi e detriti di ataviche visioni della vita e del mondo.
La prima guerra mondiale ha avuto per i contadini il significato di una presa di contatto con individui provenienti da tutto il territorio nazionale. Una variegata umanità si è concentrata ininterrottamente per anni ed anni nel sacrificio e sotto un’eguale disciplina, un abito civile si è formato. Il ceto contadino ha così concepito lo Stato nella sua potenza e nella sua grandiosità, al di sotto della dimensione dell’universo, ma al di sopra del campanile della sua Chiesa, ed un mondo nuovo spirituale è così sorto, bramoso di incorporarsi in forme ed istituti sociali permanenti e dinamici.
Nel frattempo a Galatina assume una propria fisionomia un raggruppamento di soggetti sociali, provenienti dalla piccola e media borghesia rurale, che giungono agli alti gradi della gerarchia militare o in seguito alla prima guerra mondiale, o per carriera dagli anni Trenta agli anni Sessanta. I generali Tondi e Tundo, i colonnelli Schirinzi e Gaballo, tra gli altri, sono le figure più rappresentative. Prevale, però, in essi un’idea destoricizzata dell’esercito cui appartengono. Ciò che conta è la carriera, e non, per esempio, che l’esercito sia spesso strumento di repressione interna delle forze popolari, dai fasci di Sicilia all’impiego delle truppe contro il brigantaggio meridionale, contro i manifestanti per l’imposta sul macinato, contro gli scioperi dei braccianti, fino alla circolare Roatta del luglio 1943 in cui si ordina ai soldati di sparare sulla folla senza preavviso.
Dobbiamo anche aggiungere che le giovani generazioni non sono state a sufficienza rispettate e protette dagli intellettuali che si sono spesso distratti ora dietro la moda carducciana (del Carducci nella sua fase borghese, ma non in quella giambica o barbara o giacobina) ora dietro la moda pascolina nella sua fase di velleitario nazionalismo, ora infine dietro l’estetismo di D’Annuzio. Ancora oggi sono presenti nella biblioteca del Liceo “Colonna” i testi della casa editrice Zanichelli delle opere di Carducci e Pascoli. Rilegati in tela di color cioccolata, con sovrimpressa nella forma di un ellissoide la stampigliatura Tipografia Marra e Lanzi, essi hanno costituito un momento di sviluppo dell’intellettualità galatinese e salentina dei primi decenni del secolo, che proprio nel Liceo ha rinvenuto il luogo della propria formazione ed educazione.
Occorre allora precisare il ruolo che ha svolto a Galatina e nel Salento il Liceo classico “P. Colonna”.
3. Il Liceo classico “P. Colonna” nell’età giolittiana
All’Istituto retto dai padri delle Scuole Pie nella metà del secolo XIX, trasformato in Ginnasio e pareggiato alle scuole governative nel 1879 col nome di “Pietro Colonna”, si aggiunge il Liceo che viene regificato nell’anno scolastico 1907-1908, quando la regificazione massiccia dei Licei crea in Italia l’armatura ideologica della borghesia.
La ratio studiorum, intesa come sistemazione metodica e rigorosa di contenuti, ha come fondamento il Latino, insegnato dapprima attraverso la grammatica tedesca di Ferdinando Schultz nella traduzione di Raffaello Fornaciari, e dopo mediante la grammatica dello Zenoni. Tra i Galatinesi che si fanno onore nei primi anni del secolo XIX ricordiamo, tra gli altri, Anacleto Romano, Celestino Contaldo, Pantaleo Duma. Quest’ultimo, allievo a Firenze di Girolamo Vitelli, che egli sempre ricorda con venerazione ai suoi allievi immerso negli studi nel Gabinetto dei Papiri nella fiorentina piazza S. Marco, ha tenuto per molti anni con grande prestigio prima la cattedra di Latino e Greco e poi la Presidenza del Liceo. Inoltre Michele Montinari, autore di una documentata Storia di Galatina ampliata ed annotata dal prof. Don Antonio Antonaci, che fino a tarda età rammentiamo impegnato nella decifrazione di codici e pergamene.
Anche in virtù dell’annesso convitto ed in molti casi per la cortese ospitalità di molte famiglie del luogo che dànno a pigione parte della propria abitazione, a Galatina accorre la gioventù studiosa da tutto il Salento, a partire soprattutto dagli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale.
Sono i rampolli del ceto agrario e possidente o del ceto delle professioni liberali, sono figli di avvocati, notai, cancellieri, magistrati, medici, ingegneri, professori. Tra la prima guerra mondiale ed il fascismo essi hanno finito col riprodurre gli intellettuali di tipo rurale in gran parte tradizionali, cioè legati alla massa campagnola e piccolo borghese di Galatina e del Salento, i soli in grado di mettere in contatto la massa contadina con l’amministrazione locale o statale, e cioè di svolgere la funzione di egemonia politica e sociale, ambiguamente sottesa nel pensiero filosofico allora dominante, quello di Benedetto Croce, giacché non è mai possibile scindere la mediazione professionale da quella politica.
Il momento in cui il rapporto masse-sapere pare alla vigilia di una svolta e di un rinnovamento, è l’età di Giolitti, allorché nel sistema borghese d’Italia si apre tra classe dominante e ceto intellettuale un grave contrasto. A Galatina e nel Salento non emergono istanze ribellistiche organizzate dal ceto colto a favore del ceto contadino, anche se in particolare a Galatina ad opera di un gruppo di intellettuali che si raccolgono attorno al repubblicano Antonio Vallone, serpeggi un certo antigiolittismo, incapace, però, di saldarsi con radicale efficacia alle masse popolari oppresse.
Eppure proprio la categoria degli insegnanti italiani diretta in quegli anni da Giuseppe Kirner e da Gaetano Salvemini, esprimendo un antigiolittismo chiaramente di sinistra, dimostra un alto grado di potenzialità democratica ed anche rivoluzionaria, implicita nella nuova condizione del ceto intellettuale.
Di contro a queste linee di tendenza, il Liceo “Colonna” svolge nell’età di Giolitti un ruolo di conservazione sociale nell’area salentina. La scuola è posta di fronte alla prospettiva o di allearsi col popolo per diffondere di più l’istruzione elementare contro gli avanzi delle oligarchie che vedono in essa un nemico, ovvero di aumentare le tasse scolastiche nella scuola media inferiore e superiore, il che significa allearsi con la borghesia ricca volta a monopolizzare le professioni liberali e gli impieghi contro la piccola borghesia ed il popolo minuto. L’altra prospettiva, quella che prevale, è la richiesta di mezzi più larghi nelle entrate generali a favore dell’istruzione media. Nella storia del nostro Liceo non si rinviene un solo documento che attesti la volontà di assolvere ad una funzione critica nel dibattito scolastico, nonostante che in Italia operi sin dal 1902 la Federazione degli insegnanti medi la quale, nel suo terzo Congresso a Roma, ha ricercato un’intesa con le organizzazioni operaie e con le posizioni politiche che fanno capo a radicali e repubblicani e socialisti. Passa inoltre inosservata e senza eco la lezione di Salvemini che nei Congressi della Federazione tratta tutte le questioni scolastiche (ispettorato, stato giuridico, riforma della scuola media) come altrettante questioni di libertà.
Date queste premesse, l’unico evento che ci appare assai significativo nella storia del nostro Liceo, è il sacrificio della gioventù studiosa galatinese e salentina nella prima guerra mondiale, testimoniato fino a pochi anni fa dalle immagini collocate tra gli archi del chiostro degli Scolopi. La nobiltà di quell’evento sta per noi – contrariamente a coloro che in occasioni più o meno solenni hanno ricordato e ricordano quel sacrificio secondo una tendenziosa linea sciovinista e quarantottesca – nel contatto dell’intellettuale di Galatina e del Salento con altri uomini, soldati come lui.
4. L’opera di Croce nella provincia
Chi analizzi le sezioni in cui si articola il patrimonio bibliografico del Liceo, si accorge che accanto al corpus degli Scrittori d’Italia della casa editrice Laterza trovano collocazione tutte le opere di estetica, di filosofia, di critica letteraria e quelle etico-politiche di Benedetto Croce. E’ così degnamente rappresentato il sistema di pensiero dominante, che, in ossequio alla continuità della nostra tradizione umanistica e liberale, ha teorizzato politica, arte, letteratura ed ideologia, quali fattori intellettuali e sovrastrutturali della cultura. Grazie a questa teoria è stato possibile un allargamento degli orizzonti culturali.
C’è in ogni scuola una relativa continuità e c’è un indirizzo particolare di studi imposto e sorretto dalla maggiore autorità ed abilità didattica di singoli, validi maestri, quando ci siano.
Nel Liceo “P. Colonna” di Galatina la dottrina di docenti come Paolo Acrosso e Raffaele Spongano, Paolo Brezzi e Mario Marti, Vittorio Bodini ed Aldo Vallone negli anni Trenta e Quaranta, dopo quello di Carlo Steiner e di Achille Pellizzari, ha scandito il secondo momento di alto magistero letterario e filosofico. I frutti di questo magistero si sono avuti intorno agli anni Cinquanta e Sessanta, quando i su nominati docenti sono giunti alla libera docenza od alla cattedra universitaria. E vi sono giunti anche in virtù di un lungo tirocinio nei Licei, ed in particolare nel Liceo “P. Colonna” di Galatina che per essi, nella vita e nell’opera, ha avuto rilevante importanza.
Difatti in quegli anni, subito dopo la riforma Gentile (il 1924 fu l’anno del primo esame di maturità imposto dalla riforma), il Liceo Classico era l’unica via normale aperta ad un giovane studioso di letteratura italiana. La nuova scuola con nuovi programmi e nuovi indirizzi fu una grande forza d’urto e destò miraggi e speranze nuove con l’addestramento alla lettura dei testi che imponeva il rinnovo dei manuali.
Quei giovani giunsero alla cattedra universitaria in un momento assai difficile, quando la validità e l’autorità della scuola universitaria italiana, infievolita dalla critica vincente di Croce, andavano restaurate e ristabilite. Croce aveva promosso una filosofia extrauniversitaria “(…) che nasce per bisogni dell’anima (…), com’egli scrive a Carlo Antoni in data 28 agosto 1947.
Il crocianesimo difatti ha esercitato anche nel Sud una spinta pedagogica – paradossale ed ex adverso quanto si voglia – ma significativo del fatto che ogni istante del progresso storico ha il suo merito e il suo significato, in quanto nulla di ciò che è accaduto può essere negato. Noi abbiamo l’obbligo di comprendere perciò quanto esso abbia influenzato la cultura salentina e della nostra città.
Raffaele Spongano che analizza ed interpreta testi di lingua dalla cattedra di Letteratura italiana di Bologna anche come Presidente della Commissione per i testi di lingua e Paolo Brezzi, che con i suoi studi contribuisce negli anni Sessanta al rinnovamento dell’ideologia cattolica, rappresentano una generazione di studiosi che giunge al grado accademico sull’onda del crocianesimo in anni difficili.
Vittorio Bodini, che immerge la sua vocazione di poeta nei colori della cultura spagnola cui attinge anche motivi originali per il suo meridionalismo, Mario Marti ed Aldo Vallone che per vie proprie e feconde approdano al dantismo e lo storicizzano e l’esplorano con competenza nuova, in una naturale continuità ideale con l’opera di Carlo Steiner di commento alla Divina Commedia germinato nelle aule del nostro Liceo, rappresentano la generazione di studiosi che succede alla prima. La loro opera di fondazione, di consolidamento e di magistero nell’Ateneo leccese, testimonianza del modo in cui la cultura, quando è degna di questo nome, proietta i suoi valori nella società civile, ci appare una verifica della storia professata come scienza. In questo caso si procede dagli effetti alle cause e non viceversa. All’Università, ma passando per il Liceo.
[Memorie di Galatina. Mezzosecolo di storia meridionalistica e d’Italia, Mario Congedo Editore, Galatina 1998, pp. 113-119]