Antonio Gurrado, Atto di dolore

Il libro è suddiviso in due parti: “Cosa esiste al di fuori del testo” e “Fogli volanti”.

Così, nella prima parte troviamo Antonio Gurrado, “nato a Santeramo in Colle (BA) il 9 dicembre 1980. No, chi cazzo sa dov’è Santeramo in Colle? E poi sarò rimasto lì sì e no i primi tre giorni della mia vita, poi per tutta la fase decisiva della mia formazione sono stato a Gravina. Ma mica posso mettere Antonio Gurrado è nato a Gravina in Puglia (BA) se non sono nato lì”, laureato in Filosofia, studioso di Voltaire, autore di un libro su Maradona, giornalista del Foglio, che ha un progetto, quello di scrivere un libro intitolato “Atto di dolore”. La prima parte è, dunque, agganciata, allacciata, avvinghiata alla seconda: è l’esito dell’autofiction, una conseguenza inevitabile che, irrimediabilmente,  impronta anche la seconda parte del libro, quella in cui il protagonista è Giustino Sperandìo (c’era un autore italiano di nome Luigi Pirandello che aveva un debole per i nomi parlanti), eppure è difficile cancellare, mentre lo sguardo scorre sulle righe di questa sezione, il nome di Antonio Gurrado ed è come se, questo romanzo, avesse un unico immenso personaggio. Con le sue dissolutezze, i suoi desideri, le sue colpe, le sue ferite. Le sue donne. Sono molte le donne di “Atto di dolore”, traboccano, straripano, esondano, tracimano. Ciascuna una colpa (Mio Dio mi pento e mi dolgo), ciascuna un peccato (con tutto il cuore dei miei peccati), una perversione (perché peccando) e poi un pentimento (ho meritato i tuoi castighi) e una punizione (e molto più perché ho offeso te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa). Ma ciascuna è anche un passo in più (Propongo con il tuo santo aiuto) verso quello che accade quando dalla chiesa buia e fredda (di non offenderti mai più), in cui si è entrati in una giornata estiva, si esce: si ritrova il sole (e di fuggire le occasioni prossime di peccato). E il calore.

Romanzo spietato, “Atto di dolore” non ammette filtri linguistici. In un flusso joyciano, i pensieri dei personaggi voltolano in una lingua allo stesso tempo autentica e complessa, diretta e ricercata. È la lingua della confessione, del godimento, del giudizio, del pianto. Ma, alla fine, è, anche, la lingua dell’amore: “Il mondo/stava davanti a loro, dove guidati dalla Provvidenza/scegliere il luogo in cui fermarsi: la mano nella mano/per la pianura dell’Eden a passi lenti e incerti/presero il loro cammino solitario”. In chiusura, in nota, si legge una citazione dal “Paradiso perduto” di John Milton: non si deve dimenticare però che il “Paradiso perduto” diventerà “ritrovato”. “Atto di dolore” si configura come percorso di oscurità e dissolutezza, vergogna e peccato che culmina in un atto d’amore e di perdono, in un rispecchiamento nella purezza di un volto conosciuto, perduto e ritrovato. Forse, in fondo, “Atto di dolore” è un’incessante e persistente preghiera di una voce spersa e fioca che trova, alla fine, un orecchio che sa ascoltare. E perdonare.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 1 maggio 2023]

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