La scomparsa di Raffaele Colapietra

Aveva ascendenze pugliesi. Suo padre era un medico della provincia foggiana, ma lui era fiero di essere aquilano, anche se non voleva essere confuso con altri aquilani, tipo Bruno Vespa o Gianni Letta, da lui indesiderati, e nel 2006 intitolò un suo libro “C’è modo e modo di essere aquilani”. Con noi leccesi aveva un sentimento contrastante di odio-amore, non sopportava la nostra boria di considerare Lecce una capitale dell’arte e culturalmente un’altra Napoli. Una volta mi disse: voi leccesi vi considerate il centro del mondo.

Gli piaceva essere un solitario e forse per questo amava i gatti, in casa ne aveva cinque. Quando nell’aprile 2009 a L’Aquila ci fu il terremoto, la città fu evacuata per ordine delle autorità, ma lui si rifiutò di lasciare la sua abitazione per quanto lesionata. Divenne un caso portato alla ribalta nazionale dal documentario televisivo sul terremoto da Sabina Guzzanti “Draquila”.

Toccò anche a me di rompere o forse di subire la rottura con lui. L’avevo conosciuto a Taurisano nel giugno del 1991 ad una conferenza che egli tenne “La Napoli del giovane Vanini”, che pubblicai su “Presenza” nel dicembre di quell’anno. La rottura accadde per i due militari italiani del San Marco che avevano ucciso dei pescatori indiani scambiandoli per pirati. Quando furono finalmente liberati, me ne rallegrai con una noticina su “Presenza”. La sua reazione, more solito, fu smodata. Mi scrisse una cartolina infuriato definendo i nostri militari “volgari assassini”, chiedendomi di pubblicarla. Mi rifiutai, anche per ragioni penali, evidentemente; e così fu la fine del nostro rapporto.

Ma lo ricordo con simpatia e soprattutto con ammirazione. Aveva una grafia minutissima. Scriveva come parlava, con periodi molto lunghi, pieni di incidentali e subordinate, ma perfetti nella chiusura formale e logica, tipici dei ragionatori. Nelle sue recensioni di solito coglieva un aspetto dell’opera recensita, quello che si prestava maggiormente alla contestazione e alla polemica e su quello argomentava e concludeva. Spesso, nei convegni e nelle conferenze, si rifiutava di consegnare il testo scritto dei suoi interventi e così molti di questi, non registrati, sono andati perduti. Avete fatto male a non registrarli, diceva, seccato; e qui forse non aveva del tutto torto.

Anch’io, in occasione degli ottant’anni, gli dedicai un libro, “Raffaele Colapietra. Gli ottant’anni di un aquilano indomito”, una raccolta di scritti apparsi su “Presenza”, con una lunga prefazione. Immagino che rimase soddisfatto, ma non bastò, al momento opportuno, neppure a farmi uno sconticino per i miei due marinai, eroi per me, volgari assassini per lui.

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