di Giuseppe Virgilio
1. Braccianti e contadini durante il fascismo
Chi campa di lavori materiali e faticosi: ecco il bracciante. Ma si è detto e si dice ancora, specialmente in Toscana: “E’ il contadino del barone L o del conte N”, intendendo riferirsi, in contrapposizione al cittadino, all’abitante del contado, che di solito sta a padrone. Si badi che stare a padrone è proprio del contadino e non va confuso con lo stare a servizio, proprio delle persone che lavorano in casa altrui o, con significato più dignitoso, di chi presta la propria opera allo Stato o ad altre amministrazioni.
Braccianti e contadini hanno quindi in comune il fatto che manum mercede inopiam tolerant, cioè vivono miseramente col lavoro manuale, secondo una densa espressione di Sallustio, in Bellum Iugurthinum, 85.
In realtà a Galatina e nel Mezzogiorno in genere è stato assai comune il caso del contadino che è proprietario di un piccolo pezzo di terra, mezzo ettaro ed anche meno, o che tiene anche in affitto qualche fondarello e non è proprietario di niente. In certe settimane dell’anno ha avuto bisogno di impiegare sulla propria terra il lavoro di avventizi o giornalieri, ma di regola la sua scarsa terra non ha assorbito tutto il suo lavoro né gli hanno fruttato tanto da mantenere la famiglia. Perciò nelle giornate in cui le sue terre non gli hanno dato nulla da fare, è andato come salariato sulle terre altrui.