Di mestiere faccio il linguista 1. Il linguaggio dell’odio

Le cose vanno male, la tendenza è negativa. La rilevazione di Vox ha riguardato il periodo gennaio-ottobre 2022, quello segnato dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica, dalle elezioni politiche, dall’inflazione, dalle paure per l’ambiente compromesso, dalla pandemia persistente. Ansie, paure, difficoltà si sono accumulate nel vissuto quotidiano delle persone, creando un tessuto endemico di tensione e di conflitto. Sono stati analizzati 629.151 tweet, dei quali risulta negativo il 93% del totale, percentuale che prevale in maniera schiacciante rispetto a un esiguo 7% di tweet positivi. Una risultato nettamente peggiore rispetto a quello dell’anno precedente (il 2021), per il quale avevamo il 69% circa di tweet negativi contro il 31% di positivi.

Capiamoci. Non è la rete a generare il fenomeno dell’odio, ma facilita il suo dilagare. Attraverso le praterie dei social, dove abbondano anonimato e nomi camuffati, si sfogano gli umori di forte malcontento che albergano in ampie sacche della società. Quando le cose vanno male i sentimenti si radicalizzano e i fenomeni di odio online si accentuano. Di fronte alla difficoltà, personale e collettiva, ampie fasce di popolazione reagiscono odiando, prendendosela con chi per mille ragioni appare debole e indifeso. Incapace di individuare la genesi e le ragioni profonde (spesso sociali) del proprio malessere chi soffre tende spesso a scaricare su altri le proprie frustrazioni, aspira a collocarsi in una posizione privilegiata, reale o spesso solo presunta. Mi vengono in mente, pur nella diversità sostanziale, alcune pagine di «Fontamara», il romanzo di Ignazio Silone un tempo assai letto e oggi praticamente dimenticato. Di fronte ai soprusi sempre più intollerabili subiti dai cafoni di Fontamara (località abruzzese dal nome evocativo, inesistente ma rappresentativa di situazioni reali), c’era chi, all’interno del gruppo di sfruttati, fingeva di star bene, illudendosi con la finzione di staccarsi dalla terribile condizione comune. Illudendosi di porre una barriera tra sé stesso e altri disgraziati, senza minimamente riuscire a individuare i privilegiati che avevano generato (con inganni e con vane promesse) l’enorme malessere collettivo.

La parola «hater», di provenienza inglese, vive nella nostra lingua dal 2009 e, alla lettera, significa ‘odiatore’; indica ‘chi usa la rete e in particolare i socialper offendere e denigrare qualcuno o qualcosa’. In presenza di manifestazioni collettive in preoccupante crescita, la lingua italiana si è dotata di un neologismo per indicare chi interviene abitualmente nelle discussioni in rete, aggredisce a prescindere e odia senza conoscere, dando sfogo ai propri istinti negativi caratterizzati da critica malevola, da polemica e da violenza. Alcuni ricorderanno Napalm 51, l’odiatore seriale di Crozza, che ne ha fatto uno dei personaggi da lui inventati per le sue trasmissioni televisive. Con baffoni e occhiali, l’«hater»complottista impersonato da Crozza sta tutto il giorno davanti al computer a vomitare bile, commentando a suo modo gli avvenimenti più vari e l’attualità, chiamando in causa personaggi famosi e anche sconosciuti, aprioristicamente odiati. Il personaggio fa ridere, ma il fenomeno a cui allude va trattato seriamente. Una notizia banale, una foto postata nella rete, il sospetto di una gravidanza o di una malattia può scatenare insulti, auguri di morte, ecc. La rete pullula di episodi per cui, di fronte agli eventi più vari, migliaia di individui si sentono autorizzati a divulgare la propria opinione percorsa da sentimenti avvelenati. Le categorie prese di mira sono le donne (43,21%), seguite dalle persone con disabilità (33,95%), dalle persone omosessuali (8,78%), dai migranti (7,33%), dagli ebrei (6,58%) e dagli islamici (0,15%). L’intolleranza si concentra sui diritti della persona, sia essa donna, gay o disabile o appaia, per una qualsiasi ragione, altro da noi, quali siamo o riteniamo di essere.

Ecco qualche esempio concreto. I picchi d’odio contro le donne si scatenano in occasione dei femminicidi, fenomeno terribile che non accenna a regredire. In ambito politico li abbiamo visti in occasione dell’elezione di Giorgia Meloni alla Presidenza del Consiglio e, per una sorta di assurda «par condicio»che accomuna destra e sinistra, di Elly Schlein alla Segreteria del Partito Democratico. Entrano nel mirino le persone con disabilità, nonostante gli sforzi di chi si impegna a costruire una società più inclusiva. Viene da rabbrividire quando leggiamo di un taxista veronese che si è rifiutato di prendere a bordo un disabile e di un proprietario di albergo che ha invitato la madre di un ragazzo disabile a cenare in una sala appartata affinché gli altri commensali non venissero disturbati (proprio così, disturbati) dalla vista del ragazzo. Gli omosessuali sono sottoposti a crescenti aggressioni omofobe. I migranti sono odiati soprattutto in occasione degli sbarchi (giudicati intollerabili) e dei discorsi di papa Francesco improntati all’accoglienza e all’inclusione; si arriva a dichiarare che è colpa loro se muoiono in mare, se ne stiano a casa loro, se non vogliono correre rischi. Gli ebrei sono particolarmente odiati in occasione della Giornata della Memoria e in coincidenza con aggressioni di stampo antisemita. Ai musulmani è capitato in occasione della sentenza per l’attentato al Bataclan di Parigi e in altri episodi.

Dobbiamo rassegnarci? No. Nella rete circola un’enorme quantità di «parole per ferire» (l’inventore della formula è Tullio De Mauro, uno dei più grandi linguisti contemporanei, scomparso il 5 gennaio 2017). E parole, parolacce e paroline pullulano anche nella lingua di tutti i giorni, veicolando discriminazione e odio, che possono superare i confini della dimensione online e tradursi in atti concreti di violenza.

Possiamo far qualcosa? Certamente sì. Impariamo a usare bene la lingua, facendo attenzione a non ferire, neanche con i toni di voce o con allusioni malevole o con sguardi. E, operativamente, negando il nostro voto ai politici che invitano all’odio, che urlano e insultano invece di ascoltare e capire. Se faremo così, miglioreranno, tutte insieme, la lingua, la politica e la società intera. 

                                                                  [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 23 aprile 2023]

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