Oppido Tralignano è un luogo sonnolento, dove i giovani non hanno nulla di meglio da fare che seguire corsi “sull’intreccio dei panieri per i fichi” mentre periodicamente i turisti dell’orrore vengono a saccheggiare le contrade oppidane e ad occupare le loro “villette dell’orrore” (p. 8). Vincenti induce il lettore a credere che si stia parlando del Salento, la terra in cui egli vive ed opera, ma forse questa è una mia illazione… In realtà, il racconto si addice a tutta l’Italia meridionale, e non solo. In siffatto luogo, dove costantemente “mosche e zanzare ronzano e gironzolano”, come una inquietante musica di sottofondo
(infatti, è questo un vero e proprio refrain del racconto) , si agitano i personaggi della storia: il cannibale barista Barbarino, Lele il ragazzo lupo, Michele Morbio il vampiro, Irene che ama darsi con estrema facilità a chi le pare, Abramo Panebianco il professore incline all’allieva, don Roberto Guccione il parroco sempre dedito a “piacevoli sollazzi”, ecc. Beh, come volevasi dimostrare: ad Oppido Tralignano non possono che vivere personaggi tralignati!
Il narratore ne segue i destini tragici con una tecnica scrittoria che assicura all’autore una perfetta estraneità rispetto ai fatti narrati: la tecnica della continua citazione e allusione agli universi narrativi più disparati: Esopo e Fedro, l’Eneide di Virgilio, le Metamorfosi di Ovidio, il Satyricon di Petronio, ma anche i cartoni di Walter Disney, il celebre musical Jesus Christ Superstar, l’Uomo Ragno e le saghe dei super eroi di Marvel ecc. Nessuna gerarchia tra questi riferimenti testuali, tutti sono sullo stesso piano e tutti concorrono allo stesso fine: l’affermazione che, in definitiva, la storia raccontata è fiction (con qualche concessione allo splat), ed è bene che sia contaminata dai miti della fiction antica, moderna e postmoderna, non importa. Se è così, perché mai l’autore dovrebbe scusarsi col supposto perbenista lettore? La tecnica della citazione e dell’allusione, che consiste nel far dire ad altri quanto in realtà (non) si vuol dire in proprio, lo esime da ogni responsabilità, poiché l’autorevolezza dei riferimenti, sia implicita nella loro classicità sia dovuta al successo mediatico contemporaneo, è sempre assicurata. Tornano utili, a questo proposito, le citazioni musicali, ben riassunte da Raffaele Astore in una recensione dal titolo Paolo Vincenti e il suo nuovo romanzo “I segreti di Oppido Tralignano”, ne “Il Galatino” del 7 aprile 2023, p. 3, e su cui, dunque, non ritorno. Cultura classica e cultura pop e rock convivono nello scrittore di Ruffano e la loro compresenza conferma l’estraneità dell’autore rispetto alla materia trattata. Tutto infatti è fiction.
Il lettore è avvertito anche su come l’autore lavora nella sua officina: “Questi testi sono stati scritti molti anni fa”, egli afferma a p. 86 e poi: “Ho rimaneggiato il materiale di due mie vecchie pubblicazioni, ovvero i romanzi Nero/Notte Romanza di amore e morte (2013) e L’Ombra della madre (2015)”. Un lavoro di ripresa e integrazione di quanto già scritto, in vista di un racconto che si viene definendo nel tempo. I futuri filologi, se ne avranno voglia, non mancheranno di esplorare questo lavoro d’officina.
Ciò che ora importa è che Vincenti sia riuscito a rappresentare in un modo tutto particolare, ovvero con la tecnica straniante delle citazioni, l’inferno della città (salentina, meridionale, italiana, d’ogni luogo del cosiddetto Occidente), nel quale il tralignamento è la condizione diffusa. L’orrore che ne deriva è il sentimento comune, il fondo (“mosche e zanzare ronzano e gironzolano”) dello stato d’animo di ciascuno di noi, mentre rimaniamo in attesa del prossimo evento che non potrà che farci accapponare la pelle: una violenza, un omicidio, una strage; sempre che non si sia rassegnati a tutto questo come a uno stato di cose normale. Se la narrativa ha un nesso con la realtà – mi chiedo -, è questo il senso della nostra vita?