di Vjačeslav Šiškov
Il periodo militare finì e il soldato dell’Armata Rossa, Pavel Mochov, ritornò nel villaggio natio Ogryzov.
Era il tempo di primavera, tutto rinverdiva e fioriva, per intere giornate nell’alto del cielo cantavano le allodole, che di notte venivano sostituite dai trilli degli usignoli. La letamazione dei campi era terminata, sino alla fienagione c’era ancor tempo da vendere, i contadini riposavano, venivano celebrate le ricorrenze primaverili: san Nicola, SS. Trinità, gli Spiriti Santi, con i Te Deum, il suono di tutte le campane, le processioni liturgiche, le feste, le bisbocce spericolate a non finire e le risse a più non posso.
«Ma che accidenti! Vivono pari pari a una razza più arretrata» – si indignava Pavel Mochov. «Se si guarda a volo d’uccello, qui di rivoluzione non c’è nemmeno l’ombra. Vergogna!»
E, senza pensarci due volte, istituì un circolo filodrammatico ricreativo. La gente nulla capiva, gli iscritti al circolo erano quattro gatti. Ma quando il sagrestano per scherzo mise in circolazione la voce che a tutti gli iscritti saranno distribuite le aringhe, al circolo venne l’intera popolazione del villaggio, persino vecchi e vecchie decrepiti.
Il presidente del circolo, Pavel Mochov, fece una risata e alla vecchietta zoppa, Secletinia, ponendole una domanda, disse: «Sta bene, nonnina, io ti iscrivo. Eccoti la parte principale di una amorosa da interpretare. La puoi fare?»
«Recitala tu, già che ci sei, stupido dal muso grosso» – biascicò la vecchia, accosciandosi sulla gamba storta. «Dammi subito le mie aringhe che mi spettano per legge!… Tre, per esattezza!»